Caro vecchio zio Isaiah (Berlin)
Oggi che molti si
proclamano liberali, resta ancora più difficile definire che cosa
sia il liberalismo. Diciamo, semplificando, che può essere definito liberale
chi anteponga l’individuo alla società e allo stato. Dopo di che nascono però altri problemi. Perché troveremo
pensatori liberali archici come Aron che ritengono irrealistica l’idea dell’individuo
isolato e autosufficiente. Oppure, liberali, micro-archici come Mises, che invece asseriscono
la necessità di costruire la teoria politica liberale, proprio partendo
dall’individuo, come unico attore
razionale. O liberali di sinistra, macro-archici come Rawls (soprattutto il primo Rawls, quello di Una teoria della giustizia), per i quali lo stato
gioca un ruolo decisivo nello stabilire condizioni di partenza eguali per
tutti (*).
Il vero punto della questione è
che Aron, Mises e Rawls considerano la
politica con sospetto. Aron, da buon realista, la sopporta, cercando di
addomesticarla, attraverso la lezione della storia. Mises, invece antepone
l’economia alla politica. Rawls invece trasforma la
politica in regole e procedure, e di fatto, in statalismo dei diritti.
Un autore prezioso, che può
essere affiancato ad Aron, per sensibilità politica e curiosità intellettuale,
è certamente Isaiah Berlin (1909-1997).
Un liberale molto particolare, al quale Norberto Bobbio rimproverava che
per argomentare il suo liberalismo, ricorresse ad autori poco liberali come
Machiavelli, Vico e Sorel… In effetti Berlin, da autentico storico delle
idee, si
è sempre mosso a suo agio, tra i pensatori più diversi, cogliendone
genialmente contraddizioni e potenzialità. Nato a Riga, ma presto trasferitosi
con la famiglia in Gran Bretagna, che
diverrà la sua patria d’adozione e d’insegnamento, Berlin era e resta
un modello di raffinato
“saggismo” universitario. Ma rimane anche un instancabile critico del
dogmatismo: da quello comunista a quello liberista. Ha pubblicato ottimi libri come Il riccio e la volpe (Adelphi 1986), Il legno storto dell’umanità (Adelphi
1994), Il senso della realtà (Adelphi
1998), i Four Essays on liberty (raccolti poi nel volume La libertà, Feltrinelli 2005). E quello
che è il nostro libro preferito: Le radici del romanticismo (Adelphi
2001), dove traccia un magistrale
ritratto del movimento romantico cogliendone bene luci e ombre. Un testo che
andrebbe letto insieme a Romanticismo
Politico di Carl Schmitt : quello che il giurista e politologo tedesco
chiama - semplifichiamo - l’opportunismo politico del romanticismo, che spinge l’intellettuale romantico a sposare
cause politiche anche opposte (progressiste e reazionarie), per Berlin è
puro antideterminismo storico: volontà di non dare mai un senso definitivo alla
storia. E soprattutto alla libertà umana.
In realtà, Berlin, è prezioso,
proprio per il suo liberalismo realista,
a piccoli passi, o se si vuole, triste. Come dire, non ridens. Perché consapevole, come quello
aroniano, ma per certi versi si potrebbe citare anche la Arendt , dei limiti insiti nella natura umana. E
dunque della pericolosità sociale delle visioni salvifiche, anche se
apparentemente liberali. Molto interessanti, ad esempio, le pagine che Berlin dedica a ogni forma di pseudo-legge
storica, incluse quelle
storico-economiche, a cominciare dai cosiddetti principi della domanda e
dell’offerta. Perché lesive delle umane
capacità morali . Ecco in pillole la tesi di Berlin: se si ritiene che un certo
evento (ad esempio l’avvento della società comunista, liberale, eccetera) debba accadere, perché allora organizzare un
movimento col compito di favorire quel che comunque accadrà? Di qui due rischi: l’inazione fatalistica, oppure
l’iperattivismo, perché alcuni, potrebbero cercare di affrettare i tempi, e a
tutti i costi…
Troppo complicato? No, perché,
qualche riga più in là, Berlin
attribuisce tali qualità a statisti come
Bismarck, Lincoln e Roosevelt. Tutti “statisti di successo”: un “conservatore” e
due “liberali”. Probabilmente, dal punto di vista politico, la verità è nel
mezzo. E si chiama conservatorismo liberale. Non è il massimo… Ma non va
dimenticato che Bismarck pose le basi
dello Stato Sociale e Lincoln e Roosevelt, rispettivamente, quelle della
liberazione dei neri e di un’economia non attenta solo alle ragioni del
profitto
Tutte decisioni, ancora oggi,
politicamente epocali.
Carlo Gambescia
(*) Sulla suddivisione (archici, micro-archici, ecc.) ci permettiano di rinviare il lettore al nostro Liberalismo triste.
Nessun commento:
Posta un commento