giovedì 17 dicembre 2015

Consulta, fumata bianca, finalmente eletti  i tre giudici grazie a un accordo politico tra Pd e M5S
Abolire o riformare 
la Corte Costituzionale?



Vogliamo elevare il livello teorico? E uscire  dalle solite polemiche politichesi? Tipo,  ha vinto questo, ha vinto quello?  Ora, l’accordo sui giudici per la Consulta tra  Renzi e i pentastellati è frutto  dell’inimicizia politica. Nel senso che la politica non è  (o comunque non solo)  discorso pubblico, ben argomentato, in grado di convincere l’avversario  perché l’idea di bene comune, come spesso si legge,  è evidente a tutti e si pone  al di là della destra e della sinistra.  Magari lo fosse... 
In realtà, l’essenza del politico, come ha scritto Julien Freund sulla scia (fino a un certo punto) di Carl Schmitt,  è conflitto  amico-nemico su idee di bene comune che  poi così  comuni non sono.  Certo, il conflitto  può essere sublimato, nelle forme parlamentari, quindi proceduralizzato e depotenziato,  in qualche modo  addolcito.  Però conflitto resta. Ecco la grande lezione  del realismo politico. Precisazione per i maliziosi:  queste nostre conclusioni varrebbero  anche se i nomi per la Consulta fossero  frutto di un accordo  tra Renzi e Berlusconi.
Una cosa però è chiara:   come la Corte Costituzionale, che sulla carta dovrebbe essere istituzione apolitica o meglio apartitica  (nel senso di essere al di sopra della parti), finisca  in realtà  per essere schiava e succube delle divisioni politiche. Si dice, che  i suoi membri non dovrebbero essere eletti dal Parlamento. E  da chi allora? Dai  giudici stessi?  Dai  filosofi? Dagli  storici? Come se l’inimicizia tra gli uomini, legata in politica a idee differenti di bene comune,  non "corrompesse", anche giudici, filosofi e storici.  L'uomo è uno, anche in democrazia. E lottizza o si fa lottizzare, tanto per chiamare le cose con il loro nome. 
Pertanto delle due l’una:  o si prende atto, finendola con ogni ipocrisia,  che chi controlla, semplificando, la costituzionalità delle leggi, non è perfetto, e che quindi le nomine, andrebbero “spartite” tra giudici che rappresentino i legittimi interessi  delle “minoranze politiche”. Il che sarebbe “concretamente” liberale (equilibrio dei poteri, ma concreto, do you remember?)    Oppure, la si abolisca, prendendo atto che la neutralità affettiva e politica dei giudici costituzionali è una pura e semplice leggenda normativista. E che così com’è, la Corte Costituzionale, non è altro che l’ennesimo teatro di una lottizzazione interna alle istituzioni.
Insomma, per superare la lottizzazione  interna che contraddistingue l’attuale sistema,  dove i partiti lottizzano, nascondendosi  furbamente dietro un’idea di bene comune, in realtà non condivisa affatto ( e che, si badi bene, non esiste in "natura sociologica"),  si dovrebbe puntare o sulla  lottizzazione esterna,  istituzionale: ad esempio, governo (e parlamento) di destra, corte costituzionale di sinistra e viceversa, o sull’abolizione della Corte Costituzionale, perché pleonastica come la tv pubblica.
Ovviamente, esistono controindicazioni: nel primo caso, lottizzazione esterna, il rischio è quello del conflitto istituzionale, e quindi della paralisi,  conflitto  che però sarebbe manifesto, e che quindi responsabilizzerebbe, circa la necessità di scatenarlo,  maggioranza e opposizione; nel secondo caso, abolizione, il partito maggioritario, non avrebbe altri freni se non quello, semplificando, dei tribunali ordinari, spesso politicizzati e/o controllati dal Governo ( e qui si pensi all’esperienza, non del tutto felice, dello  Statuto Albertino).
Concludendo,  abolire la Corte Costituzionale, potrebbe non essere la soluzione dei nostri problemi, il che però vale anche per   l’attuale sistema.  Che fare? Riformarla, nel senso qui indicato? Forse. Sarebbe comunque un atto di realismo. Realismo politico.  
Carlo Gambescia                       

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