giovedì 3 dicembre 2015

Natale a scuola 
Il presepe dove lo metto?


Il sociologo non può  non interessarsi  a ciò di cui parla la gente. Deve sempre  cercare di  andare oltre le sterili polemiche politiche. Deve vedere più  lontano degli altri.   Prendiamo ad esempio  il dibattito (per così dire...)  sul  "divieto" di  presepe ( per ora solo  qui e  là),  divieto che in teoria  dovrebbe comprovare la multiculturalità  di  una società che nelle sue istituzioni - si presti attenzione alla parola - aspiri ad essere tale. 
Di che  cosa si è discusso?  Stando alle inchieste televisive (quindi un campione difettoso), molti  intervistati hanno difeso la “tradizione italiana e cristiana” del presepe.  A riprova di ciò, referendum mediatici, per quanto improvvisati, hanno attestato  che oltre la  metà dei nostri connazionali “vuole canti, recite e presepe” nelle scuole.  Per contro, la Chiesa Cattolica  -  quindi l’istituzione -  per bocca di alcuni  alti prelati,  pur di non offendere le altre fedi, pare addirittura disposta a fare un passo indietro: niente presepe a scuola. Rischiando così di ferire larga parte dei suoi fedeli.  Dalle altre comunità  nessuna reazione. In particolare quella musulmana che, nelle sue varie sfumature,  non sembra sentirsi offesa per  un bue e un asinello.  
Pertanto la “gente” di che ha  parlato? Di  rispettare le tradizioni proprie e  altrui.  In qualche misura le persone comuni (in particolare i musulmani italiani) hanno  mostrato di essere più equilibrate dei politici, di destra e sinistra, al governo o meno, che invece, come avvoltoi (in particolare la destra stupida),  si sono gettati  sulla questione fomentando odio e divisioni.
Conclusioni: da una parte la gente comune, che, nonostante Parigi e la guerra in Medio oriente,  si rispetta  e ragiona, dall’altra le istituzioni ( presidi, partiti, chiesa) che vogliono imporre rigidi modelli di comportamento, in un senso o nell’altro, lungo il continuum monoculturalismo-multiculturalismo. Con i media (altra istituzione) - dispiace dirlo - che danno il peggio di sé stessi puntando su slogan e artificiose fratture sociali in buoni e cattivi ( non importa se dall’una o dall’altra parte).
Chi sbaglia? Le istituzioni. Esiste infatti un diritto sociale, vivente, basato sull’evoluzione del senso comune tra gli individui (certo, storicamente fluttuante),  fondato, come dire, sull’esperienza, dal basso, che si oppone al diritto positivo, di natura coercitiva e  intellettualistica, perché calato dall’alto in chiave collettiva. Da un lato,  un processo naturale e spontaneo di selezione dei valori,  dall’altro, una visione costruttivistica, innaturale e artificiosa,  che vuole cambiare gli uomini  per legge. Prendere nota: il laicismo e il confessionalismo sono prodotti culturali che vengono prima o dopo, mai durante i processi sociali.  O comunque esiste una interazione, tra cultura e società difficile da controllare, soprattutto dall'alto, se non provocando danni (sociali) ancora più gravi. 
Si dirà, siamo in guerra,  bisogna serrare i ranghi. Sì, ma non sul bue e l’asinello. La dinamica tra istituzioni e spontaneità sociale, va al di là del fenomeno bellico, che, certo può influire, ma non determinare fino in fondo l'immediatezza dei processi sociali, fenomeno, questo sì, al di là della destra e della sinistra.  
Pertanto,  se società multiculturale sarà, non sarà per decreto.


Carlo Gambescia             

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