Natale a scuola
Il presepe dove lo metto?
Il sociologo non può non interessarsi a ciò di cui parla la gente. Deve sempre cercare di andare oltre le sterili polemiche politiche. Deve vedere più lontano degli altri. Prendiamo ad esempio
il dibattito (per così dire...) sul "divieto" di presepe ( per ora solo qui e là), divieto che in teoria dovrebbe comprovare la multiculturalità di una società che nelle
sue istituzioni - si presti attenzione alla parola - aspiri ad essere tale.
Di
che cosa si è discusso? Stando alle
inchieste televisive (quindi un campione difettoso), molti intervistati hanno difeso la “tradizione
italiana e cristiana” del presepe. A
riprova di ciò, referendum mediatici,
per quanto improvvisati, hanno attestato che oltre la metà dei nostri connazionali “vuole canti,
recite e presepe” nelle scuole. Per
contro, la Chiesa Cattolica
- quindi l’istituzione - per bocca di alcuni alti prelati, pur di non offendere le altre fedi, pare
addirittura disposta a fare un passo indietro: niente presepe a scuola. Rischiando
così di ferire larga parte dei suoi fedeli.
Dalle altre comunità nessuna
reazione. In particolare quella musulmana che, nelle sue varie sfumature, non sembra sentirsi offesa per un bue e un asinello.
Pertanto
la “gente” di che ha parlato? Di rispettare
le tradizioni proprie e altrui. In qualche misura le persone comuni (in particolare i
musulmani italiani) hanno mostrato di essere più equilibrate dei politici, di destra
e sinistra, al governo o meno, che invece, come avvoltoi (in particolare la destra stupida), si sono gettati sulla questione fomentando odio e divisioni.
Conclusioni:
da una parte la gente comune, che, nonostante Parigi e la guerra in Medio
oriente, si rispetta e ragiona, dall’altra le istituzioni ( presidi, partiti, chiesa) che vogliono imporre rigidi modelli di comportamento, in un senso o nell’altro,
lungo il continuum monoculturalismo-multiculturalismo. Con i media (altra istituzione) - dispiace dirlo
- che danno il peggio di sé stessi puntando su slogan e artificiose fratture sociali in buoni e cattivi ( non importa se dall’una o dall’altra parte).
Chi
sbaglia? Le istituzioni. Esiste infatti un diritto sociale, vivente, basato
sull’evoluzione del senso comune tra gli individui (certo, storicamente fluttuante), fondato, come dire, sull’esperienza, dal basso, che si oppone al diritto
positivo, di natura coercitiva e
intellettualistica, perché calato dall’alto in chiave collettiva. Da un
lato, un processo naturale e spontaneo di selezione dei valori, dall’altro, una visione costruttivistica,
innaturale e artificiosa, che vuole
cambiare gli uomini per legge. Prendere nota: il laicismo e il confessionalismo sono prodotti culturali che vengono prima o dopo, mai durante i processi sociali. O comunque esiste una interazione, tra cultura e società difficile da controllare, soprattutto dall'alto, se non provocando danni (sociali) ancora più gravi.
Si
dirà, siamo in guerra, bisogna serrare i ranghi. Sì, ma non sul bue e l’asinello. La dinamica tra
istituzioni e spontaneità sociale, va al di là del fenomeno bellico, che, certo
può influire, ma non determinare fino in fondo l'immediatezza dei processi
sociali, fenomeno, questo sì, al di là della destra e della sinistra.
Pertanto,
se società multiculturale sarà, non sarà
per decreto.
Carlo Gambescia
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