Test Invalsi
Tempesta in un bicchier d’acqua
Alcuni studenti e insegnanti sono contrari ai test
Invalsi. Non desideriamo entrare nel merito della questione (
protocolli, tecniche, eccetera), bensì semplicemente ricordare, da umilissimi
sociologi, che lo scontro tra
favorevoli e contrari ruota - e probabilmente molti ne sono
inconsapevoli - intorno a una questione
vecchia più di duemila anni. Quale? Che la conoscenza sia in qualche misura una
strada che conduce alla virtù. Tradotto: più si studia , più si diventa buoni,
onesti, eccetera. Si tratta di un’ antica
idea che, alcuni studiosi, idealmente cresciuti tra Atene, Gerusalemme, Roma , fanno
risalire ai dialoghi
socratici.
Su queste antiche basi, si è sviluppata l’educazione dei
moderni, grazie anche a dosi
massicce di illuminismo. Di qui, la grande importanza, assegnata all’istruzione scolastica, quale inevitabile succedaneo collettivo dell’educazione.
Ora, purtroppo, il problema è che non sempre la conoscenza porta alla virtù.
Il sapere può essere usato male. Inutile
fare esempi. Ovviamente, la questione in sé è molto più sottile, e affrontarla
in modo compiuto porterebbe molto
lontano, troppo.
Il punto è che, a livello di senso comune, la nobile idea della conoscenza-virtù si è trasformata nella meno elevata caccia al diploma e alla laurea come segni
visibili di onorabilità sociale. E non poteva non essere così: perché i valori,
seguendo un fisiologico processo sociale, frutto di ragioni organizzative,
tendono sempre a trasformarsi in risorse.
Di qui, la necessità di grandi strutture, burocrazie, controlli, prove,
verifiche, test. Ma anche, come
prevedibile, il rifiuto, da parte di
altri soggetti sociali, delle forme meritocratiche. Del resto i fenomeni sociali sono fondati sul meccanismo azione-reazione (ma questa è un’altra storia…).
Concludendo, sia i favorevoli sia i contrari all’uso dei test
Invalsi credono, pur indicando
soluzioni opposte, in una visione moralmente nobile ma sociologicamente infondata: quella che la conoscenza conduca alla virtù.
Il che non significa che si debba
difendere la “santa ignoranza”, ci mancherebbe altro. Ma più “laicamente” comprendere che, a livello di senso comune, per la
stragrande maggioranza degli
uomini e delle donne, l’istruzione
non è un valore bensì una pura e
semplice risorsa. E che perciò non è proprio il caso di nutrire grandi speranze nella possibilità che le “grandi” o
“piccole” riforme educative possano
cambiare o addirittura migliorare il
comportamento umano.
Carlo Gambescia
Post inusuale dottore.
RispondiEliminaCordiali saluti,
Mario