Il libro della settimana: Alain de
Benoist, La fine della sovranità. Come la
dittatura del denaro toglie il potere ai popoli, pref. di Eduardo
Zarelli, Arianna Editrice 2014, pp. 128,
Euro 9,80.
I libri di Alain de Benoist,
prescindendo dalla condivisione o meno delle sue tesi, offrono sempre
spunti stimolanti. Nulla a che vedere con i volumi di mestieranti
italiani del "nonconformismo" come Veneziani, Buttafuoco e di altri
nani e ballerine della destra "intellettuale" neofascista.
Perfino in raccolte di articoli, sebbene omogenei, come La fine della sovranità (Arianna Editrice), il lettore
alla fine riceve, per così dire, la giusta ricompensa.
Naturalmente, la "resa" dipende dalla disposizione di
spirito con la quale si leggono: i cercatori di risposte preconfezionate,
i militanti incorreggibili, i debenoistiani più debeinostiani di
Alain de Benoist, difficilmente riusciranno a misurarsi con la natura creativa e dinamica del suo pensiero, mai
superficiale, sempre in movimento, di regola vulcanico ma non meno
rispettoso delle linee di continuità che sono dietro i
fenomeni politici e sociali.
Si prenda ad esempio La fine della sovranità che peraltro, come osserva
giustamente Zarelli, rappresenta «l’aggiornamento e il
completamento» del forse troppo spengleriano - l'aggettivo è
nostro - Sull’orlo del baratro. Infatti, anche in
quest'ultima fatica, crediamo sia possibile scorgere tutta la vitalità del pensiero debenoistiano. O comunque cogliere, meglio che nel
precedente volume, la grandissima distanza che separa il pensatore
francese da certo pittoresco demi-monde intellettuale: dai populisti anti-euro,
dai nazionalisti di ritorno, dagli altermondialisti. Insomma, tra un volume e l'altro, si scopre sempre in bilancio una
plusvalenza concettuale. E in questo "saldo attivo" si rivela tutta la forza creativa del
pensiero debenoistiano. Perciò godiamocela subito.
Euro. « Uscire dall’euro è la soluzione? […] Noi ci
andremmo un po’ più piano. L’uscita dall’euro, permetterebbe certamente una
svalutazione, che a sua volta renderebbe possibile un calo “senza dolore” dei
costi salariali, ma un siffatto modo di agire ha senso solo se lo si assume,
in modo concertato, al fine di consentire un ritorno alle monete
nazionali, che vada di pari passo con il mantenimento di una moneta comune
riservata agli scambi internazionali» (p. 68). Insomma, sempre una moneta
comune servirebbe…
Stato-Nazione e nazionalismo: «L’impotenza crescente degli Stati
definisce quindi la fine del sistema westfaliano dello Stato-Nazione, che
faceva risiedere l’autorità politica nel potere statale, attribuendogli il
monopolio della violenza legittima all’interno delle proprie frontiere.
La forma territoriale della conquista e della dominazione è diventata
obsoleta» (p. 32). Quindi, nessun torcicollo...
Altermondialismo: « [I suoi seguaci] sono dei riformisti
di fatto - a sinistra si possono citare i nomi di Pierre Bourdieu, Immanuel
Wallerstein, Noam Chomsky, Samir Amin, Leo Panitch, Zaki Laïdi, Hubert Védrine,
Ulrich Beck, Peter Singer, Joseph Stiglitz, Susan George, Noorena Hertz, Paul
Hirst e Grahame Thompson ecc […] . Si oppongono al liberalismo economico, ma
difendono il liberalismo societario che non si è mai così ben diffuso come nel
capitalismo liberale. Difendono l’ideologia dei diritti dell’uomo come se
potessero esistere dei diritti umani indipendenti dall’organizzazione sociale.
Si richiamano a valori universali, mentre un valore non ha senso se non nel
contesto di una cultura determinata. In sintesi, per riprendere una celebre
fase di Bossuet, deplorano le conseguenza di cui continuano a coltivarne le
cause» (pp. 109 e 111-112). Perciò, nessuna alleanza con certa sinistra...
Che fare? Secondo il pensatore
francese serve una critica radicale dell’ universalismo astratto
che tuttora anima la sinistra, come d’altra parte, è
altrettanto necessaria una chiara presa di distanza dal
particolarismo folclorico e sciovinista che distingue la
destra. Di qui, la ricorrente idea debenostiana circa l'
inutilità della «divergenza destra/sinistra, ormai obsoleta»: convinzione
basata sul fatto che oggi la storica dicotomia avrebbe «lasciato il
posto a una nuova opposizione tra avversari (di destra e sinistra) e
sostenitori (di destra e di sinistra) della mondializzazione» (p. 115).
Però - ecco il punto che non ci
trova d'accordo - potrà bastare il semplice essere contro? Puntando
sulla «prom[ozione] del localismo» (p. 114)? Facciamo un passo
(teorico) indietro: i processi di scomposizione-ricomposizione
sociale, quando non sono frenati, corretti, deviati o comunque
gestiti dall'elemento umano, tendono a mantenere quella
forza propria inerziale che li conduce lungo le linee
di una rotta prestabilita. Perciò è sociologicamente vero, come
scrive de Benoist citando Morin, che «rivoluzione e conservazione vanno
considerate legate l’una all’altra» e che non c’è conservazione senza rivoluzione
e viceversa, tuttavia è altrettanto vero che i processi
sociali e politici, per essere gestiti, necessitano del fattore umano: di
alleanze che possono essere strette solo sulla base di valori e/o
di interessi, culturalmente sublimati e collettivamente metabolizzati. Alleanze
che però non sempre riescono bene... Dal momento che,
per dirla, con quel simpatico anarchico della canzone di Tonino
Carotone, « è un
mondo difficile e vita intensa felicità
a momenti e futuro incerto».
Riassumendo: il localismo è una reazione
puramente sociologica, per così dire, al di là del bene e del male, un
fenomeno acefalo e inerziale: segue una sua rotta prestabilita. Di
conseguenza, sorge la necessità di qualificarlo politicamente.
Qui però viene il difficile, perché il punto
di "sutura" tra localismo inerziale valori e
interessi consiste nella "chirurgica" reinvenzione umana delle
tradizioni locali. Insomma, il localismo, come il pensatore
francese rileva, andrebbe «promosso» , per evitare - crediamo
- che l'inerzia localista possa trasformarsi in pura e
semplice reazione automatica, acefala, all'inerzia universalista. Giusto.
Tuttavia, in questo modo, il nazionalismo, anche reinventato ( o
forse proprio perché reinventato) come localismo, non rischia di uscire
dalla porta per rientrare dalla finestra? E combinare altri guai?
Non meno gravi di quelli prodotti dall' universalismo?
Carlo
Gambescia
Già letto. Concordo. Saluti, Daniele
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