mercoledì 5 marzo 2014

L'arcaismo economico italiano
“Il giudice meschino”




Ieri sera, per non rivedere per la terza volta “La Grande bellezza”, abbiamo puntato il telecomando sulla Prima Rete  per vedere  la seconda parte del “Giudice meschino”.
Non entriamo nel merito di un prodotto televisivo, come dire, tecnicamente nella media. E premettiamo che non abbiamo letto il libro di Mimmo Gangemi  da cui  è stata tratta la fiction. Comunque sia,  siamo davanti a ciò che abbiamo definito  la Mafia-Romanzo, nel caso Ndrangheta. E qui è necessaria un’autocitazione, di cui ci scusiamo:
 
La mafia, non è soltanto un fenomeno criminale  è “anche”  metafora di un certo modo, diciamo letterario, di  interpretare  la realtà.  Esiste la mafia, per l' appunto,  come  organizzazione criminale che viene combattuta  con l’armamentario legale e sociologico dello stato e della società civile (leggi penali, polizia, magistratura, campagne mediatiche,  manifestazioni, associazioni). Esiste però anche  la mafia - per sintetizzare -  come romanzo, in genere  frutto di teorie cospirative (le più diverse), intorno al fenomeno organizzativo reale  (articoli, inchieste giornalistiche,  libri, film, eccetera).
E cosa succede? Che la mafia-romanzo si sostituisce alla mafia-organizzazione criminale o più brevemente alla mafia-crimine.  E così,  come in ogni buona teoria cospirativa,  la fantasia  finisce per divorare la realtà. E in che modo?  Scorgendo ovunque tracce di “mafiosità”. Tuttavia  - per semplificare -   se tutti sono mafiosi, perfino il droghiere che rubacchia sul peso, nessuno è mafioso.   Si precipita insomma nell’indeterminato… Nella spirale del  né vero né falso… L’enunciato mafia  rischia l' inverificabilità.




Inutile aggiungere che ne  “ Il giudice meschino” (versione televisiva) non manca alcuno degli elementi cospirativi e fantastici appena ricordati.  Ma il punto è un altro. Nelle ultime battute, un poliziotto corrotto prima di morire sotto i colpi dei colleghi onesti,  riconduce, giustificandolo, il potere della Ndrangheta   al desiderio  di  “normalità”  insito nella gente che per amore della propria tranquillità lascerebbe fare… Fin qui si “ricicla” il concetto  arendtiano di “banalità del male”. Il che in qualche misura potrebbe anche essere… Ma nella fiction si va oltre. Perché si dà per scontato  il nesso  -  citiamo -   tra  il “voler vivere senza pensieri”,  il   “desiderio di  possedere un Suv”  e altri beni economici,    e  l’ appoggio diretto e  indiretto alla criminalità mafiosa. Detto altrimenti:  che tra  società dei consumi e  Ndrangheta esiste una  relazione  causa-effetto.  Tesi che altrove, nel mondo sviluppato, sarebbe oggetto di derisione. Mentre in Italia, dove l’arcaismo sociologico ed economico sembra farla ancora da padrone,  circola  in  prima serata fra rulli di tamburi e squilli di tromba. Che malinconia.

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