L'arcaismo economico italiano
“Il giudice meschino”
Ieri sera, per non rivedere per
la terza volta “La Grande
bellezza”, abbiamo puntato il telecomando sulla Prima Rete per vedere
la seconda parte del “Giudice meschino”.
Non entriamo nel merito di un
prodotto televisivo, come dire, tecnicamente nella media. E premettiamo che non
abbiamo letto il libro di Mimmo Gangemi
da cui è stata tratta la fiction.
Comunque sia, siamo davanti a ciò che
abbiamo definito la Mafia-Romanzo , nel
caso Ndrangheta. E qui è necessaria un’autocitazione, di cui ci scusiamo:
La mafia, non è soltanto un fenomeno criminale è
“anche” metafora di un certo modo, diciamo letterario, di
interpretare la realtà. Esiste la mafia, per l' appunto,
come organizzazione criminale che viene combattuta con
l’armamentario legale e sociologico dello stato e della società civile (leggi
penali, polizia, magistratura, campagne mediatiche, manifestazioni,
associazioni). Esiste però anche la mafia - per sintetizzare -
come romanzo, in
genere frutto di teorie cospirative (le più diverse), intorno al fenomeno
organizzativo reale (articoli, inchieste giornalistiche, libri,
film, eccetera).
E cosa succede? Che la mafia-romanzo si sostituisce alla mafia-organizzazione criminale o più brevemente alla mafia-crimine. E
così, come in ogni buona teoria cospirativa, la fantasia finisce
per divorare la realtà. E in che modo? Scorgendo ovunque tracce
di “mafiosità”. Tuttavia - per semplificare - se tutti sono
mafiosi, perfino il droghiere che rubacchia sul peso, nessuno è mafioso.
Si precipita insomma nell’indeterminato… Nella spirale del né vero
né falso… L’enunciato mafia rischia l' inverificabilità.
Inutile aggiungere che ne “ Il giudice meschino” (versione televisiva)
non manca alcuno degli elementi cospirativi e fantastici appena ricordati. Ma il punto è un altro. Nelle ultime battute,
un poliziotto corrotto prima di morire sotto i colpi dei colleghi onesti, riconduce, giustificandolo, il potere della
Ndrangheta al desiderio di “normalità” insito nella gente che per amore della propria
tranquillità lascerebbe fare… Fin qui si “ricicla” il concetto arendtiano di “banalità del male”. Il che in
qualche misura potrebbe anche essere… Ma nella fiction si va oltre. Perché si
dà per scontato il nesso -
citiamo - tra il “voler vivere senza pensieri”, il
“desiderio di possedere un
Suv” e altri beni economici, e l’
appoggio diretto e indiretto alla
criminalità mafiosa. Detto altrimenti: che
tra società dei consumi e Ndrangheta esiste una relazione
causa-effetto. Tesi che altrove,
nel mondo sviluppato, sarebbe oggetto di derisione. Mentre in Italia, dove
l’arcaismo sociologico ed economico sembra farla ancora da padrone, circola
in prima serata fra rulli di
tamburi e squilli di tromba. Che malinconia.
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