martedì 11 marzo 2014

La Camera respinge le “quote rosa”
I pericoli dell’uguaglianza



Non  desideriamo entrare nel merito della bocciatura  alla Camera delle  quote rosa,  ma ragionare  per sommi capi  sul concetto di parità, o meglio di uguaglianza.
Innanzitutto, di cosa si parla?  Per sgomberare il campo da qualsiasi possibile giudizio di valore, diciamo che il concetto di parità impone che A sia uguale B.  Esiste in natura (vivente)  una uguaglianza di questo tipo? No, la  diversità è la regola, l’uguaglianza  l’eccezione. Quindi per attuare l’uguaglianza è necessario forzare se non mutare la  natura delle cose. Un compito non facile e pericoloso.
Nel XIX secolo, in opposizione ai  passati  privilegi sociali mal gestiti da aristocrazie decadenti,  si introdusse, conferendo  allo stato un improprio compito rettificatore, il concetto di uguaglianza formale (per così dire dei punti di partenza), al quale però, venne subito affiancato e/o contrapposto   il  concetto di uguaglianza sostanziale (per così dire dei punti di arrivo).
Semplificando,  non solo un giusto diritto (come accesso) all’ istruzione per tutti,  ma un non giustificato diritto per tutti alla laurea, a un lavoro consono eccetera, eccetera.  Il tutto,  nella maggioranza dei casi, a  prescindere dalla reali doti possedute dallo studente. Come purtroppo è  regolarmente avvenuto nel XX e XXI secolo. Ad esempio la Costituzione italiana prevede addirittura, nei suoi principi fondamentali (articolo 3), che è « compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e  sociale che. limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva  partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
È più che evidente che  un principio del genere ( di tipo socialista più che liberale) va oltre l’uguaglianza formale, per celebrare l’uguaglianza sostanziale, gestita a discrezione di uno  stato (la «Repubblica») occhiuto, invasivo e tassatore.  Dal momento che il «rimuovere» ha un suo elevatissimo costo economico. Tradotto: tasse, tasse, tasse…     
Si tratta di un meccanismo infernale come aveva ben intuito Tocqueville, che una volta messo in  moto avrebbe prodotto, per rilanci successivi,  la fine  di qualsiasi forma meritocrazia, ovviamente  in chiave pubblica…  
Ci spieghiamo meglio:  dal momento che le società non possono non funzionare, la meritocrazia deve in qualche misura  continuare il suo corso. Ma come?   In chiave privata, sotterranea, nascosta. C'è chi resiste, insomma.  Il che, ovviamente, non esclude, nel tempo, l’autodistruzione sociale, economica e politica, per la cattiva selezione della classe dirigente.  Si pensi  però  all’Università e alla Pubblica Amministrazione,  dove, nonostante tutto, ancora si trovano professori, studenti e dirigenti (pochi) all’altezza del compito. Cosa che permette  all’Italia di  tirare  avanti.  Ma fino a quando?                 
Morale:  quanto  più  si esce dalla parità formale e si insiste sulla parità sostanziale, addirittura imposta per legge e affidata allo stato, tanto più si rischia di mettere le persone sbagliate nel posto sbagliato.
Tutto qui. Buona giornata a tutti.    

Carlo Gambescia


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