I pericoli dell’uguaglianza
Non desideriamo entrare nel merito della bocciatura alla Camera delle quote rosa, ma ragionare per sommi capi sul concetto di parità, o meglio di
uguaglianza.
Innanzitutto, di cosa si
parla? Per sgomberare il campo da
qualsiasi possibile giudizio di valore, diciamo che il concetto di parità
impone che A sia uguale B. Esiste in
natura (vivente) una uguaglianza di
questo tipo? No, la diversità è la
regola, l’uguaglianza l’eccezione.
Quindi per attuare l’uguaglianza è necessario forzare se non mutare la natura delle cose. Un compito non facile e
pericoloso.
Nel XIX secolo, in opposizione ai
passati
privilegi sociali mal gestiti da aristocrazie decadenti, si introdusse, conferendo allo stato un improprio compito
rettificatore, il concetto di uguaglianza formale (per così dire dei punti di
partenza), al quale però, venne subito affiancato e/o contrapposto il concetto
di uguaglianza sostanziale (per così dire dei punti di arrivo).
Semplificando, non solo un giusto diritto (come accesso) all’
istruzione per tutti, ma un non
giustificato diritto per tutti alla laurea, a un lavoro consono eccetera,
eccetera. Il tutto, nella maggioranza dei casi, a prescindere dalla reali doti possedute dallo
studente. Come purtroppo è regolarmente
avvenuto nel XX e XXI secolo. Ad esempio la Costituzione italiana
prevede addirittura, nei suoi principi fondamentali (articolo 3), che è «
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che. limitando di fatto la libertà e
l’eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana
e l’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
È più che evidente che un principio del genere ( di tipo socialista
più che liberale) va oltre l’uguaglianza formale, per celebrare l’uguaglianza
sostanziale, gestita a discrezione di uno stato (la «Repubblica») occhiuto,
invasivo e tassatore. Dal momento che il
«rimuovere» ha un suo elevatissimo costo economico. Tradotto: tasse, tasse,
tasse…
Si tratta di un meccanismo
infernale come aveva ben intuito Tocqueville, che una volta messo in moto avrebbe prodotto, per rilanci
successivi, la fine di qualsiasi forma meritocrazia,
ovviamente in chiave pubblica…
Ci spieghiamo meglio: dal momento che le società non possono non
funzionare, la meritocrazia deve in qualche misura continuare il suo corso. Ma come? In chiave
privata, sotterranea, nascosta. C'è chi resiste, insomma. Il che, ovviamente, non
esclude, nel tempo, l’autodistruzione sociale, economica e politica, per la
cattiva selezione della classe dirigente. Si pensi però all’Università e alla Pubblica Amministrazione,
dove, nonostante tutto, ancora si trovano professori, studenti e
dirigenti (pochi) all’altezza del compito. Cosa che permette all’Italia di tirare avanti.
Ma fino a quando?
Morale: quanto più si
esce dalla parità formale e si insiste sulla parità sostanziale, addirittura
imposta per legge e affidata allo stato, tanto più si rischia di mettere le
persone sbagliate nel posto sbagliato.
Tutto qui. Buona giornata a
tutti.
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento