Giancristiano Desiderio, Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce, Liberilibri,
Macerata 2010, pp. 378, euro 19,00 -
http://www.liberilibri.it/giancristiano-desiderio/218-vita-intellettuale-e-affettiva-di-benedetto-croce.html |
Benedetto Croce tra Risorgimento, fascismo,
guerra e dopoguerra
di Teodoro
Katte Klitsche de la Grange
Ad oltre
mezzo secolo da quella, classica, di Nicolini, esce questa biografia di Croce,
ad opera di Giancristiano Desiderio. Nato l’anno della terza guerra
d’indipendenza e morto nei primi anni della Repubblica, la vita di Croce ha
(quasi) coinciso con il periodo monarchico della storia unitaria. Nutrito degli
ideali risorgimentali di costruzione dello Stato nazionale e liberale, nel
crepuscolo della vita il filosofo si trovò a dover operare per la conservazione
di quello Stato e far risorgere la nazione sconfitta.
Desiderio,
nei dieci capitoli svolge un accurata e gradevole esposizione della vita e del
pensiero del filosofo, attenta non solo agli eventi della vita pubblica, ma
anche ai rapporti d’amicizia (primo fra tutti quello con Giovanni Gentile) e
affettivi.
L’opera
investe ambiti estesi e differenti, perché il pensiero e la vita di Croce
furono ricchi e l’attività (letteraria, filosofica, politica) ininterrotta e
lunga, per cui, nella spazio di una recensione, non è dato render conto di
tutto.
Ci
soffermiamo perciò sul dilemma di Croce nell’ultimo periodo della sua vita. Il
Risorgimento aveva coniugato strettamente la libertà (politica) della comunità
a quella individuale. L’Italia era stata voluta come patria libera e
indipendente di cittadini liberi. Non c’era contrasto tra libertà degli
antichi e quella dei moderni (per dirla à la Constant): l’una e l’altra erano
conseguenza dello Stato liberal-monarchico.
Questo
vincolo s’incrinò gravemente con il fascismo e si spezzò con l’entrata in
guerra. Come scrive Desiderio: “Ma, una volta coinvolta anche l’Italia in
guerra, cosa sperare e augurarsi: la vittoria o la sconfitta? La Grande guerra,
che pur cambiò il mondo, fu per l’Italia ancora una guerra dallo spirito
risorgimentale… I due doveri – verità e patria -, per quanto si cominciasse a
snaturarli e pervertirli, erano ancora tra loro in equilibrio e coniugabili
l’uno con l’altro e Croce li tenne insieme nel suo spirito… Con la seconda
guerra mondiale le cose erano ormai completamente diverse… Una vittoria
dell’Italia fascista alleata della Germania nazionalsocialista avrebbe voluto
dire il trionfo delle barbarie e l’asservimento dell’Europa e dell’Italia. La
guerra non era conciliabile con il Risorgimento: ne era la negazione. Non era
Croce ad essere cambiato. Era la patria che non era più la stessa. Ecco perché
Croce non parlò di «fine del patriottismo» bensì di «sospensione»”.
Si capisce lo
stato d’animo del vecchio patriota, culminato nel famoso discorso del 24 luglio
1947 alla Costituente contro la ratifica del Trattato di Pace (che il filosofo
preferiva chiamare “Dettato” di pace), e che giustamente Desiderio definisce
“profetico”. Carattere che condivide col discorso che pronunciò nella stessa
occasione Vittorio Emanuele Orlando. Croce “vide lungo”: “E non vi dirò che
coloro che questi tempi chiameranno antichi, le generazioni future dell’Italia
che non muore, i nipoti e i pronipoti ci terranno responsabili e
rimprovereranno la generazione nostra… vi dirò quel che è più grave, che le
generazioni future potranno sentire in se stesse la durevole diminuzione che
l’avvilimento, da noi consentito, ha prodotto nella tempra italiana,
fiaccandola”. Similmente disse Orlando “L’Italia non può opporre al
disfacimento cui l’atto la vorrebbe condannare che il fatto della sua esistenza
come grande e gloriosa Nazione; e questo fatto è insopprimibile, malgrado ogni
iniquità… non mettete i vostri partiti, non mettete voi stessi di fronte a così
paurosa responsabilità. Questi sono voti di cui si risponde dinanzi alle
generazioni future; si risponde nei secoli di queste abiezioni fatte per
cupidigia di servilità”. Erano l’infiacchimento e il servilismo i mali – sempre
presenti nella storia d’Italia -, che i due vecchi patrioti avvertivano e
temevano. Correttamente l’autore sostiene che “La democrazia liberale di Croce
non poteva esistere senza il fondamento della storia italiana che, nei suoi
caratteri essenziali, doveva costituire il patrimonio comune della politica e
della cultura che senza questo retroterra, avrebbero dato vita ad un paese
diviso e a una democrazia fragile”; cosa puntualmente avvenuta.
Perciò non si
può dire che Croce e Orlando non avessero visto giusto; a quel “dettato” ne
sono seguiti altri, nonché “compiti a casa”, ramanzine, punizioni, recentemente
anche da Stati, come la
Germania , che la guerra non l’avevano vinta e non avevano
titolo di vincitori. Per cui la sconfitta non è solo un fatto storico e
politico, è anche un fatto spirituale se portata nell’animo e un popolo vi si
adagia (s’infiacchisce), anche ad opera di “maestrini del pensiero” che più che
di questo – ne sono stati, quelli del secondo dopo guerra, scarsamente forniti- possono insegnare come far carriera.
Cioè tutto il
contrario di quello che potevano (e volevano) insegnare veri maestri del
pensiero (e di vita) come Croce e Orlando.
Teodoro Katte Klitsche de la Grange
Teodoro Katte Klitsche de la Grange è avvocato, giurista, direttore del
trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),Funzionarismo (2013).
***
Croce il il Mourinho della filosofia italiana.
di Carlo Gambescia
Se c’è un cosa
che subito colpisce della biografia di
Croce, scritta da Giancristiano Desiderio,
giornalista, studioso di filosofia,
insegnante, è l’atteggiamento difensivista, un po’ trapattoniano. Un “Primo: non prenderle” che però gli
consente di infilare in contropiede e
vincere l’ undici anti-crociano. Undici
si fa per dire, perché gli avversari di Croce, ancora oggi, sono molti di più e duri a cedere. Si
pensi solo alla polemica, non certo edificante,
poi sfociata in tribunale, risalente a qualche anno fa (di cui
tra l’altro si parla nel libro) tra Roberto Saviano, lo scrittore "camorrologo" e
Marta Herling, nipote di Croce. Chi non ricorda o desideri saperne di più si legga il libro oggetto di questa recensione…
Desiderio, autore
del Divino pallone, sicuramente apprezzerà la metafora calcistica…
La nostra - avviso per chi non ami
Croce né il calcio - sarà un
recensione in stile “Domenica sportiva”,
“Il calcio minuto per minuto”, eccetera. Lettore avvisato mezzo salvato.
Parliamo di un
libro ottimamente articolato, per dirla
con Brera, in dieci normolinei capitoli, (anzi undici, considerando il ghiotto
saggio bibliografico) - per l’appunto come una squadra di calcio - che si apre
guardingo (1. La vita come opera
filosofica), prendendo subito le distanze dalla corriva «leggenda del
Croce olimpico», ossia del filosofo con la testa tra le nuvole. Per poi prendere le misure, tenendo palla
a centrocampo, grazie anche a un elegante
fraseggio, nei due successivi capitoli (2. Casamicciola; 3. Angelina):
un terremoto (1883) e una grave malattia (1913) che portano via al filosofo,
rispettivamente, prima mezza famiglia (genitori e sorella) e poi la compagna (Angela Zampanaro). E Croce
per due volte viene sfiorato dall’idea
del suicidio. Altro che nuvolette… Senza dimenticare che tra le due date Croce, oltre a innumerevoli e importanti
ricerche di storia locale, smonta il
positivismo, minimizza il marxismo, costruisce la sua filosofia della spirito e diventa senatore. Insomma, si fa un nome, pur essendo partito da “zero tituli”. Se, ci si perdona l’accostamento, diventa
il Mourinho della filosofia italiana.
Qui, Desiderio
entra nella metà campo avversaria, occupandola con tre densi capitoli, dedicati a momenti fondamentali. L’incontro con Giovanni
Laterza (4. Giovanni Laterza): due
organizzatori che si trovano, abbracciano e creano dal nulla o quasi, un importante capitolo di storia editoria
italiana; ; il primo conflitto mondiale
(5. La guerra): Croce rifiuta il grigioverde
intellettuale, pur restando fedele alla
patria ; il fascismo (6. Gli Hyksos) : Croce respinge e
ridicolizza la mistica della camicia
nera, rompe del tutto con Gentile, profeta di un’
etica dello stato fascistizzato.
Dopo di che
Desiderio, passa all’attacco e realizza tre
reti. Tradotto: tre ficcanti capitoli in cui affronta, sempre in chiave di sviluppo biografico, il liberalismo crociano (7. la libertà), quale forma mentis degna di uomini liberi, creativi, non dogmatici, concreti perché immersi nella realtà, senza
per questo cadere nell’economicismo; il
suo europeismo (8. L’Europa), che profeticamente scorge, andando oltre
i mali della guerra e della boria nazionalista, la
possibilità di riallacciare i nodi
di un comune destino; la storia
italiana ( 9. L’Italia), come
faticoso cammino verso le idee ( da
coniugare) di patria e libertà
Negli ultimi
minuti, ormai padrone del campo, Desiderio, ritorna sul rapporto Hegel-Croce (10. Hegel), dando il giusto spazio all’importante ruolo
giocato nell’ultimo Croce, dalla categoria della vitalità, come trascinante
fattore pre-dialettico: un primum movens, forse, di cui la dialettica non può fare a meno. Si tratta di un terreno, quello della vitale, esplorato, partendo proprio da Croce, in chiave di reinvenzione del liberalismo tout court, anche da Corrado Ocone, altro instancabile cursore del centrocampo liberale.
Non
contento, in piena “Zona Cesarini”,
Desiderio mette a segno la quarta rete (Saggio bibliografico): un bellissimo gol all’incrocio dei pali, palla colpita di collo
pieno su assist di una squadra di
autori, consultati, studiati e meditati,
utilissima per chiunque desideri approfondire.
Insomma,
risultato finale: Croce 4 Anticrociani
0. Veramente una bella partita. Ci chiediamo, e chiediamo a Desiderio: a quando la “Supercoppa”? Fuor di metafora: a quando una bella storia del liberalismo italiano?
Carlo Gambescia
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