Domani sarà il Primo Maggio. E non si fa che parlare di diritto al lavoro. Che cos’ un diritto? Come scrivono i manuali, un diritto “in senso soggettivo è la facoltà o pretesa, tutelata dalla legge, di un determinato comportamento attivo od omissivo da parte di altri”.
Chi tutela chi? Per un verso, ai nostri giorni, è lo stato a tutelare questa facoltà o pretesa, direttamente, attraverso un apparato fondato sul monopolio legittimo del forza. Per altro verso, è il singolo che può indirettamente rivalersi, ricorrendo ai codici e ai giudici. Si tratta della classica differenza tra diritto penale e civile, tra diritto oggettivo e soggettivo.
In questo quadro il diritto al lavoro che significato acquisisce? Rinvia allo stato o all’individuo?
Per alcuni rinvia allo stato che, in base alla quantità di socialismo, racchiusa nelle sue istituzioni, deve garantire, favorire, addirittura assumere, per tutelare il diritto al lavoro. Però, così facendo, l’obbligo, o dovere, di lavorare, uccide la libertà.
Per altri esiste il diritto al lavoro, ma anche il diritto al non lavoro. L’altra faccia della medaglia diritto. Si tratta di scelte individuali: si può lavorare o meno, esercitare o meno il proprio diritto, pagandone però le conseguenze. Si chiama libertà. E soprattutto, da questo punto di vista, lo stato non deve tutelare alcun al diritto lavoro.
Come è possibile non lavorare in una società in cui il lavoro è l’unica fonte di sostentamento? Non è possibile.
Di qui, la graduale trasformazione di un diritto di scelta in obbligo. Che perciò lo stato deve tutelare: il diritto al lavoro.
Di qui, la nascita di un’etica del lavoro, per giustificare l’obbligo, o dovere, di lavorare. Di qui, le costituzioni che invece di essere fondate sulla libertà, anche di non lavoro, si dichiarano fondate sul lavoro. Di qui, i socialismi, che promettono la liberazione dal lavoro, aumentando però le dosi di lavoro individuale. Di qui, tutte le altre ideologie lavoriste, basate sul principio, piuttosto antico, del “chi non lavori non mangi”.Un vero e proprio apparato coercitivo rivolto contro l’individuo.
È possibile fare un passo indietro? Esistono, in teoria, due soluzioni: la prima è che coloro che lavorano sostengano coloro che decidono di non lavorare; la seconda è che chi non lavori, rinunci volontariamente al sostentamento. Sono due soluzioni praticamente impossibili: la prima punta su una generosità che non esiste in natura, la seconda su una logica suicidaria.
Pertanto la soluzione del diritto al lavoro resta quella socialmente più fattibile. E infatti è largamente accettata. Anche perché gli individui sanno spontaneamente fin dove spingersi: la libertà, a prescindere dai vincoli esterni e dai momenti di esaltazione-repressione, riesce sempre, per nostra fortuna, ad autoregolarsi.
Però, ecco, non lo si consideri un diritto, perché siamo davanti a un obbligo. Diciamo pure, un dovere socialmente accettato, ma non un diritto: perché se fosse tale potrebbe essere esercitato o meno. E così non è.
Carlo Gambescia
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