Nell’agosto del 1921, durante il governo Bonomi, fu firmato un patto di pacificazione tra fascisti e socialisti. Favorito a parole dagli stessi squadristi, per fermare, si diceva, in nome della “patria” la “guerra civile”: un guerra civile – attenzione – in cui le forze polizia erano sistematicamente dalla parte dei fascisti.
Un buco nell’acqua. Che, dopo un altro anno di gravi disordini, favorì la marcia su Roma. Un colpo di stato che portò Mussolini al potere. Seguirono vent’anni di illibertà, bellicismo, di persecuzioni razziali, alleanze con gangster politici come Hitler che sfociarono in una durissima e giustissima sconfitta militare e infine in una terribile guerra civile.
In questi giorni, a proposito degli Anni di Piombo, l’estrema destra, ora di governo, per la prima volta dal 1945, però con più o meno le stesse idee del 1921, torna a parlare di pacificazione.
Per dirla banalmente, per fare la pace bisogna essere in due. E quando mai l’estrema destra, oggi confluita in Fratelli d’Italia, ha recitato un sincero atto di dolore? E soprattutto compreso e condannato la natura illiberale del fascismo?
I patti di pacificazione, non possono essere ristretti agli anni di Piombo, facendo finta di ignorare il primo patto di pacificazione, quello sotto Bonomi, che portò al colpo di stato e alla dittatura fascista. All’epoca nelle strade ci si sparava. Solo che i fascisti non finivano in prigione. Il patto di pacificazione, almeno come fu inteso dai fascisti, fu una scusa – una balla se si vuole – per poter provocare e poi accusare gli avversari di non rispettare gli accordi e così dipingere il fascismo come forza legalitaria: classica risorsa politica largamente impiegata nei colpi di stato di destra.
Perciò che oggi la destra di ascendenza neofascista ricorra nuovamente a questa balla è significativo. Di cosa? Che la destra è rimasta la stessa del 1921. Ovviamente con il surplus del rancore contro una giustissima esclusione morale. Mai accettata, perché mai sinceramente pentita.
Si vuole la pacificazione solo per mettere con le spalle al muro l’avversario e proclamarne, con soddisfazione, la cattiva fede. E magari così, nel tempo, favorire la cancellazione della celebrazione del 25 Aprile, perché, si dice, divide. Certo, che problema c'è? Magari per definirsi di nuovo, come nel 1921-1922, forza legalitaria: unica depositaria dell’ “unità della patria italiana”...
Esageriamo? In quanti, anche tra i giornalisti professionisti (gli stessi, affetti da miopia storica, che definiscono Fratelli d’Italia, “partito conservatore”), ricordano o conoscono il patto di pacificazione del 1921? Probabilmente, meno della dita di una mano. Per non parlare delle gente comune che neppure ricorda il profondo significato del 25 Aprile: festa di liberazione dal fascismo.
Perché – qui l’amarezza più grande – gli italiani hanno dimenticato che cosa fu il fascismo.
E giocano scioccamente con il fuoco. E con il fuoco, prima o poi, ci si brucia.
Carlo Gambescia
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