Il dibattito italiano sul Pnrr è surreale. In sostanza, al di là delle cifre, che pure sono congrue, si tratta, concettualmente, di finanziamenti pubblici dell’Unione Europea, in parte prestiti e in parte sovvenzioni, finalizzati a investimenti infrastrutturali. Che, al momento, negli obiettivi riflettono una sensibilità politica di sinistra: si pensi ad esempio al cavallo di battaglia della transizione ecologica.
Ovviamente, la destra ha una sensibilità differente. Si pensi alla monomania sui fondi da destinare ai governi nordafricani perché si tramutino in guardie carcerarie. Inoltre la destra non ama parlare – altra fisima – di condizioni contrattuali per la restituzione della parte in prestiti. Se proprio deve essere, a babbo morto… Ovviamente semplifichiamo, ma il concetto è questo.
Va poi segnalata un’ altra questione non secondaria: che larga parte dei fondi ricevuti, una sciocchezzuola come 21 miliardi di euro, suddivisi fra 10 miliardi di sovvenzioni e 11 miliardi di prestiti, non è stata ancora spesa e finalizzata ai piani di investimento contrattati con l’Unione Europea.
Dicevamo, dibattito surreale. Per quale ragione? Perché tutti gli attori (Ue, Italia, destra e sinistra) si muovono in una dimensione onirica, fantastica, che non riflette al realtà. E qual è la realtà? A) che il keynesismo ha fatto il suo tempo; B) che la burocrazia, in particolare quella italiana, non è in grado di gestire i fondi pubblici.
In altre parole è il concetto di finanziamento pubblico ad essere surreale. Più si pompa denaro pubblico nell’economia, più si rischia di fa crescere inflazione e debito pubblico. Per dirla alla buona: si pensi, come accadeva un tempo, a una mucca piena di ormoni, gonfia come un pallone, ma con carni e latte di pessima qualità.
Pertanto il tira e molla della Meloni con l’Unione Europea (“Porremo nuove condizioni…”), come pure lo scaricabarile con Draghi (“ Abbiamo ereditato il Pnrr dal governo precedente…”) rinviano al puro folclore politico. A una specie di commedia dell’arte fondata sull’idea sbagliata, o se si preferisce superata, che i finanziamenti pubblici facciano bene all’economia.
E invece, come detto, non è così. L’Unione Europea, se proprio desidera comandare, invece di giocare allo stato sociale e buttare soldi, dovrebbe tramutare l’ Europa in un paradiso fiscale: massima libertà esentasse di produrre e consumare. Si pensi solo al settore turistico.
Allora sì che l’economia ripartirebbe. Altro che finanziamenti pubblici contrattati, sprecati e comunque tassati. Perché, per restare in metafora, il nocciolo concettuale del keynesismo è di gonfiare la mucca di ormoni per poi mungerla, senza pensare alla cattiva qualità del latte…
Insomma, il problema è concettuale, diciamo di metodo. Ma cosa si può pretendere da una sinistra welfarista? E da un destra come quella italiana, che rimpiange Enrico Mattei, uno statalista, per non dire del Mussolini socialista?
La verità è una sola: o l’ Europa si farà liberale, o non sarà mai.
Carlo Gambescia
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