sabato 8 aprile 2023

Il diritto divide, la spada decide

 


Ieri un amico, in privato, nel complimentarsi con me per la"ragionata durezza" dell’articolo su “Monaco-Pechino” (*), mi chiedeva però, da buon liberale, di affrontare anche la questione delle basi giuridiche della guerra contro la Russia.

Il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite condannano l’uso della forza nelle relazioni tra gli stati. La si ammette solo in caso di aggressione, a scopo auto-difensivo.

Perciò tutto chiaro? Di qua il bene, di là il male. In realtà non è proprio così.

Il diritto internazionale, peraltro animato da intenzioni buonissime, ha permesso alla Russia, l’aggressore, di giustificare l’invasione dell’Ucraina, l’aggredito, evocando ragioni difensive e sinistri disegni politici di spartizione della Russia, addirittura di genocidio, da parte di Kiev e degli stati schierati al fianco dell’Ucraina, in primis Unione Europea e Stati Uniti (**).

Si può anche sorridere, ma così è.

Non sono uno  specialista in diritto internazionale, però non posso non notare che l’ Occidente euro-americano ha violato il divieto di proibizione dell’uso della forza e l’eccezione della legittima difesa quando bombardò la Serbia nel 1999. Ovviamente per chi scrive fece bene, perché, in quell’occasione, il rischio di genocidio era reale.

Però, e qui veniamo al punto, mi si potrebbe rispondere, sulla base di una visione politica filoserba, che non vi era alcun rischio, eccetera, eccetera.

Si può anche sorridere, ma così è.

Purtroppo, piaccia o meno, la forza, o per meglio dire i reali rapporti sul terreno militare precedono il diritto. In Serbia, vinse la Nato e portammo la libertà, la modernizzazione, il diritto, anche se la questione del Kosovo resta pericolosamente aperta.

A chi scrive piacerebbe un mondo pacifico, tollerante, libero, distinto dai commerci e da proficui scambi culturali, però per giungere a questo, andrebbe edificato uno stato mondiale, dalle stesse caratteristiche di uno stato sovrano, con il suo esercito e la sua polizia.

Penso a un’opera gigantesca che però alzerebbe solo l’asticella della questione. Dal momento che l’edificazione di uno stato mondiale, come accade all’interno di ogni stato sovrano, non escluderebbe sia sul piano di fatto, che su quello teorico-storico (della scienza politica), attività criminali, sommovimenti politici e sociali, guerre civili e rivoluzioni.

Uno stato sovrano mondiale riuscirebbe a imporre l’amicizia, proprio per cementare l’unità del pianeta terra tra i vari stati, solo per mezzo di un’aggressione – quindi dell’inimicizia – da parte di un nemico proveniente dallo spazio.

Insomma, la divisione tra amici e nemici – autentica costante metapolitica – tenderà sempre a riproporsi e in chiave scalare: al primo pianeta aggressore, potrebbero seguire altri pianeti, federazioni e contro-federazioni stellari, e così via. Non diciamo nulla che non sia già stato detto al cinema e in letteratura.

Detto questo,  per  tornare ai problemi di oggi,  si rifletta  su quella montagna incantata di discussioni alimentate dalle diverse ideologie sulle opposte interpretazioni della base giuridica della legittima difesa, ieri in Kosovo, oggi in Ucraina. Cosa  insegna?  Che il diritto, purtroppo, può essere sempre interpretato: gli uomini sono quel che sono, imperfetti perché imprevedibili, imprevedibili perché imperfetti.

Diciamo perciò che per imporre le nostre ragioni giuridiche – per carità universali, eccetera, eccetera – occorre una forza militare superiore al nemico. Per batterlo.  Però sul punto specifico l’Occidente vacilla.

Perché? Per due ragioni: pacifismo diffuso e incapacità di pensare la guerra. Sono due fattori collegati.

Il pacifismo diffuso ritiene che per giungere alla pace, basti offrire la guancia delle trattative a ogni costo; l’incapacità di pensare la guerra rinvia al rifiuto di schiacciare militarmente il nemico sul campo, per non turbare le possibili trattative.

Che cosa significa invece saper pensare la guerra? Prima schiacciare il nemico, poi trattare, magari cercando di non umiliarlo troppo, ma solo in sede di trattati di pace dopo averlo messo in ginocchio.

Invece, ripetiamo, pretendere di trattare con il nemico ancora in piedi, è il classico esempio del non saper pensare la guerra. Tra l’altro molti di coloro che in Occidente sono dalla parte delle trattative difendono l’interpretazione russa del diritto internazionale sulla natura auto-difensiva della sua guerra. Il che è ridicolo ma ha un suo seguito propagandistico che indebolisce l’Occidente.

Mai dimenticare che quando si è in guerra la trattativa va vista come uno strumento per guadagnare tempo, riorganizzarsi e colpire: quindi uno strumento di guerra. Chiunque la usi impropriamente è un amico del nemico. Un traditore.

Insomma, credere, in buona o cattiva fede, che basti evocare la trattativa perché il nemico si converta alla pace è ridicolo e pericoloso.

Ridicolo, perché presuppone un approccio pacifista, che per metterla sul poetico non scioglie il cuore del nemico.

Pericoloso, perché le raffinate o meno discussioni giuridiche, lasciano l’iniziativa a un nemico che se la ride alle spalle degli azzeccargarbugli pacifisti.

Pertanto, per dirla con Max Weber, il diritto è importante perché appartiene indubbiamente al canone occidentale in termini di una siderea etica dei principi. Però prima si deve vincere sul campo in termini di etica della  responsabilità, insomma sporcarsi le mani di terra.

Detto brutalmente: il diritto divide, la spada decide. In questo senso anche la guerra fa parte del canone occidentale. Mai dimenticarlo.

Carlo Gambescia

(*)Qui: http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2023/04/occidente-in-piedi.html  .

(**) Per una informata ricostruzione giuridica della questione si veda qui:https://lavoce.info/archives/93761/cosi-il-diritto-internazionale-condanna-la-guerra-in-ucraina/ .

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