Si pensi ai giornali di oggi. Si discute, confliggendo, sul fatto che la Schlein ha ammesso di ricorrere a una consulente di immagine, una specie di stilista ( si parla di una “armocromista”, pagata profumatamente). Che tipo di conflitto è questo? In Ucraina, piovono missili su Kiev, e la cosa neppure fa più notizia. Che tipo di conflitto è questo? Il governo ha convocato il sindacati per il Primo Maggio, per discutere di misure economiche. I sindacati stanno affidando i coltelli. Che tipo di conflitto è questo? Infine in Sudan, due cricche militari si contendono il potere a colpi di armi da fuoco? Che tipo di conflitto è questo?
Come si può intuire all’ interno del “conflitto” – una costante o regolarità del comportamento politico (nel senso di ciò che si ripete) – si registrano livelli di intensità differenti. Due in particolare: quello sulla Schlein è verbale, come pure quello tra governo e sindacati. Quelli in Ucraina e Sudan sono fattuali. Nei primi ci si limita a esercizi verbali, che ovviamente portano a decisioni con conseguenza reali (si licenzia la stilista, si tagliano i bonus sociali). Nei secondi, si spara e muoiono persone.
E’ vero che in seguito al taglio di un bonus un assistito può suicidarsi, ma si tratta di una conseguenza indiretta, in qualche misura non prevedibile. Mentre i morti in seguito a un bombardamento sono prevedibili, ne varia solo il numero: parliamo perciò di conseguenze dirette.
Ieri un filosofo della politica si interrogava su “Repubblica” sul ruolo del conflitto in democrazia. E poneva, a dire il vero, una domanda oziosa: se la democrazia è conflitto, o se il conflitto fa male alla democrazia. Ne seguiva un lungo e noioso editoriale sul filo delle bolle d’aria in bello stile. Non approdava a nulla.
In realtà, ogni forma di governo, anche il più assoluto, non è mai esente da conflitti. L’aspetto interessante è quello della forma del conflitto. Se verbale, il conflitto non presenta pericoli per la conservazione della forma di governo. Invece se è fattuale tutto diventa complicato, anche dal punto di vista delle forma di governo, che può essere trasformata, mutata, abbattuta.
La vera questione è il contenuto del conflitto.
Una cosa è se dietro le parole si nasconde la ricerca della temporanea supremazia politica nei riguardi dell’avversario, per poi cedere il posto, nel quadro di un politeismo di opinioni e di alternanza politica.
Un’altra se invece dietro le parole si cela un esclusivo odio ideologico, monoteistico, che può sfociare nella distruzione permanente del nemico.
Se il contenuto del conflitto non è politeistico ma monoteistico il conflitto può distruggere la liberal-democrazia (preferiamo questa espressione, poi spiegheremo perché). Dal momento che il conflitto verbale, se ideologizzato (nel senso di una visione ideologica monoteista), tende a distruggere i portatori di concezioni differenti (politeiste), definite come opposte e pericolose perché, come dice la parola stessa, non può essere data altra concezione che quella monoteista. Insomma, non avrai altro dio, eccetera, eccetera.
Cosa vogliamo dire? Che quanto più una democrazia, talvolta anche a base liberale (quindi politeista, ecco perché parliamo di liberal-democrazia), radicalizza i conflitti verbali oltre una certa soglia, tanto più l’avversario tende a tramutarsi in nemico e il politeismo in monoteismo. E addio difesa delle minoranze… Principio che è il sale del liberalismo.
Esiste un altro rischio: che la stessa forma di governo, a sua volta, tenda a trasformarsi, in vista del conflitto, in una forma assoluta. Per capirsi anche una democrazia, soprattutto all’esterno può trasformarsi in monista (o monoteista) rispetto ad altre forme di governo, tramutando gli altri governi in nemici. Come pure, può accadere all’interno, verso i propri i cittadini, quando si rifiuta ogni forma di dissenso, perché, in nome della maggioranza, principio democratico per eccellenza, si definisce il dissenso pericoloso per la democrazia stessa. A che serve dissentire, se la maggioranza ha sempre ragione?
Ripetiamo: il nocciolo duro di ogni democrazia è dato dalla sua componente liberale: ogni democrazia, se vuole essere tale, deve essere una liberal-democrazia. Capace di ricondurre ogni conflitto verbale all’interno di un politeismo politico, evitando di tramutare l’avversario in nemico.
Il che significa che quanto più una democrazia si fa monista tanto più cresce il rischio che il conflitto verbale si trasformi in conflitto fattuale, eccetera, eccetera. Il ruolo del liberalismo è impedire che ciò avvenga. Ogni vera democrazia, non ci stancheremo mai di ripeterlo, deve essere liberale, quindi politeista.
Qui è interessante fare un’altra osservazione. Coloro che si oppongono all’intervento della Nato in Ucraina se la prendono con il presunto monismo liberale che vorrebbe imporsi nei paesi dell’Europa orientale. In realtà, la Nato, rivendica l’esatto opposto. Che cosa? Il politeismo liberale, messo in discussione dal monismo russo: una sorta di cesarismo democratico, temperato dall'assassinio politico, per parafrasare un celebre detto politico.
Mosca, quando si dice il caso, si dichiara paladina della democrazia in nome della schiacciante maggioranza del popolo russo che vuole ardentemente la guerra in difesa della democrazia. In realtà, il vero scopo è la distruzione del nemico politeista, quindi liberale, che rischia di minare il monoteismo democratico russo.
Come detto, il conflitto, che vede la Nato e l’Ucraina da una parte e la Russia dall’altra, è di natura fattuale. Ma, nel quadro dei casi limite, che pure esistono, si tratta per l’Occidente di difendere la causa politeista liberale. In caso di sconfitta, ne andrebbe di mezzo il politeismo europeo e americano. Pertanto, talvolta il conflitto fattuale si rende necessario, soprattutto quando sono in gioco, come in questo caso due concezioni opposte: politeismo liberale e monismo democratico.
L’ideale, sul piano delle forme di governo, sarebbe dato dalla convivenza tra liberalismo e democrazia, ossia dalla liberal-democrazia, forma di governo capace di temperare, attraverso il politeismo, il monismo democratico delle maggioranze “schiaccianti”.
Ma la perfezione non è di questo mondo, per dire una banalità. Il che spiega i conflitti, anche fattuali, talvolta necessari. Purtroppo.
Carlo Gambescia
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