Ieri Mario Draghi ha visitato una scuola in Veneto, regione leghista. In realtà, i veneti sono gente pacifica, perfino remissiva. Venezia – la Serenissima – le guerre le ha sempre fatte fare agli altri. Solo per dirne una, piegò la Quarta Crociata ai suoi interessi, contrattando, come in una partita di giroconto, la conquista di quel restava dell’Impero Bizantino, con quella di Gerusalemme. Prima Bisanzio, poi il Santo Sepolcro, questi i patti. La Crociata si concluse con un fallimento, salvo che per Venezia.
I veneti non amano le guerre. Però erano sulla “Linea del Piave”: “Tutti eroi! O il Piave o tutti accoppati!”. E nel 1848 la sfortunata difesa di Vicenza dagli Austriaci, che sparavano con i cannoni dai Colli Berici, intorno alla città, resta una pagina luminosa nel nostro Risorgimento. C’erano pure dei romani a combattere con i vicentini, gente di coltello: gli stessi che tornati a Roma, progettarono e portarono a termine l’assassinio di Pellegrino Rossi, eroico ministro liberale di Pio IX (un papa che però aveva già fatto marcia indietro, pronto a riparare a Napoli). Nessuno è perfetto.
Comunque sia, i veneti non amano neppure i prepotenti. Tra questi anche uno stato centrale che continua a spennarli fiscalmente.
Dicevamo di Draghi. Ne abbiamo scoperta un’altra su di lui. Ama le parabole… Ecco cosa ha raccontato ai ragazzi della scuola media inferiore, Dante Alighieri, di Sommacapagna, Verona.
«”Quel che si deve fare è cercare la pace, far in modo che i due smettano di sparare e comincino a parlare. Questo è quello che noi dobbiamo cercar di fare”, ha poi spiegato Draghi. “A Putin ho detto – ha aggiunto – ‘la chiamo per parlare di pace’, e lui mi ha detto ‘non è il momento’. ‘La chiamo perché vorrei un cessate il fuoco’, ‘non è il momento’. ‘Forse i problemi li potete risolvere voi due, perché non vi parlate?’, ‘Non è il momento’. Ho avuto più fortuna a Washington parlando con il presidente Biden; solo da lui Putin vuol sentire una parola e gli ho detto che telefonasse. Il suggerimento ha avuto più fortuna perché i loro ministri si sono sentiti”, ha concluso. “Chi attacca ha sempre torto. C’è differenza tra chi è attaccato e chi attacca, bisogna tenerlo in mente. Come quando uno per strada è grosso grosso e dà uno schiaffone a uno piccolo”. “Quello che è successo – ha aggiunto Draghi – è che il piccolino adesso è più grande e si ‘ripara’ dagli schiaffi, prima di tutto perché è stato aiutato dagli amici, ma anche perché combatte e si difende per un motivo, la libertà”, ha concluso» (*).
Perfetto la libertà. La stessa libertà, per quale nel 1915 (si metta da parte la canea nazionalista, prefascista), per i Salvemini, i Bissolati, gli Omodeo e tanti altri liberal-democratici, l’Italia entrò in guerra: una guerra sentita come Quarta Guerra d’Indipendenza. Ma quale pace… Si doveva finire di fare l’ Italia, completare il Risorgimento. Attenzione, non si trattava della guerra “Igiene del mondo” dei nazionalisti e di Mussolini. Quella era robaccia che avrebbe portato al fascismo. A Bissolati, il reduce, fischiato dai fascisti, perché tendeva la mano a croati e sloveni.
Ecco, sarebbe stato bello che il Presidente Draghi, invece della solita melassa pacifista, avesse parlato ai ragazzi del Risorgimento italiano sul Piave e di quello ucraino, dinanzi a Kiev. Due paesi in lotta per la libertà. Ed eventualmente, a proposito di trattative e rispetto delle autonomie, Draghi avrebbe dovuto inviare a Putin, già da un pezzo, e per conoscenza a Zelensky, il testo dell’accordo Italia-Austria (1946) tra De Gasperi e Gruber, sulla tutela delle minoranze di lingua tedesca in Alto Adige, popolazioni oppresse dal fascismo: territori che i nazisti durante la guerra si ripresero insieme a tutto il Trentino. E sembra, che anche il Veneto, in caso di vittoria di Hitler sarebbe passato alla Germania nazista, complice, forse, Mussolini.
L’ accordo tra De Gasperi e Gruber è tuttora indicato come un modello di convivenza, laddove esistono in Europa e nel mondo, minoranze linguistiche e culturali.
Ecco di che cosa Draghi doveva parlare a quei ragazzi. E invece, come detto, solita melassa pacifista.
Carlo Gambescia
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