giovedì 19 maggio 2022

La biblioteca di Franco Battiato

 


Non si poteva fare peggiore servizio a Battiato di quello reso dal “Coraggio di essere Franco”, un documentario, scritto e diretto da Angelo Bozzolini, andato in onda ieri sera su Rai 1.

A parte il fatto, come si può intuire dalla pagina Fb del regista, che è stato girato in fretta e furia, assemblando materiali di repertorio e qualche foto inedita. Per non parlare delle improvvisate interviste, come quella a Sgarbi, che di Battiato, praticamente sapeva e sa poco o nulla. Ignorata o quasi (a parte le amenità personali di Sonia Bergamasco) la filmografia di Battiato, che, sebbene non copiosa, rappresenta un capitolo interessante della sua storia creativa.

È vero che l’improvvisazione talvolta è fortunata, quindi è stata evitata la megalomane caratterizzazione, tipica degli interpreti di destra, del Battiato-Guénon, se non addirittura nelle vesti di un redivivo Julius Evola, in groppa alla tigre.

Bozzolini, che invece è di sinistra, quella di oggi, che vive e lotta dentro il guazzabuglio ideologico mainstream, liberalsocialista, ha dipinto un Battiato psichedelico, un sessantottino semipentito, di genio, tipo Silicon Valley, quindi tutto sommato attento ai soldi. Un casto e poliglotta Aldo Busi, che avrebbe riscritto il pop italiano in chiave pseudo buddista ed eterosessuale, piegando la sperimentazione al successo. Così dicono i produttori musicali… Ma si può, solo per fare esempio, far scrivere la vita di Paolo Sorrentino a Vittorio Cecchi Gori?

Per dirla con un mio vecchio direttore, Bozzolini non aveva e non ha le “coordinate culturali” per comprendere Battiato. E lo si capisce, da come si lascia sfuggire una citazione fondamentale che se sviluppata avrebbero favorito la comprensione di un uomo creativo, intelligente e colto, ovviamente non un filosofo o un pensatore.

Ciò che Battiato dice di sé: quel “ non essere mai nato e quindi mai morto”, indica l’affermazione dell’esistenza di un etereo corpo spirituale, che in qualche misura trascende l’uomo e la stessa dimensione del sacro. Che – attenzione – è vista da Battiato come un prolungamento del trascendente. Quindi non siamo davanti a un Hippy stagionato con il culto del Nirvana, peace and love. Ma siamo dinanzi a un erudito che conosce e apprezza le religioni, a partire dall’Islamismo, soprattutto nel versione Sufi, così ricca di misticismo, anche musicale a artistico. Ma cosa possono sapere personaggi intervistati come Scurati, Sgarbi, Morgan di un percorso del genere? Bah…

Un itinerario, quello di Battiato, che tra l’altro incontra figure, seppure diverse per qualità, ma non proprio intellettualmente comuni, come Guénon e Gurdjieff.

Anche gli altri intervistati, alcuni abbastanza acculturati in argomento, non hanno sciolto questo fondamentale nodo, che rinvia al sostanziale impulso antimoderno (come rifiuto del liberalismo e del capitalismo) che caratterizza tutta la produzione, inclusa quelle sperimentale, di Battiato: il suo tradizionalismo, non spicciolo conservatore borghese, ma guénoniano, scorge in una tradizione trascendente, che accomuna le diverse fedi, qualcosa che preesiste, persiste e sovra-esisterà a un uomo prigioniero del suo corpo materiale, addirittura animale, in cerca di quel del Re del Mondo che è dentro ognuno di noi.

Probabilmente, per ragioni di spazio, si è tagliato più di qualcosa. Così almeno ci auguriamo. Indugiando però, altro limite del documentario, sulla malattia, sul corpo terreno… Quanto di più lontano dalla concezione tradizionalista di Battiato. Roba da ridere per lui.

Battiato, come abbiamo scritto in altra occasione, ha tentato di spiegare Guénon al popolo (*). Quindi non “sperimentalismo di massa”, come osserva, anche acutamente, un intervistato, ma tradizionalismo di massa.

Attenzione, di masse, che non pensano di essere tradizionaliste ma neppure moderniste, esistono, vivendo alla giornata, come non possono non vivere le torpide masse welfarizzate.

Il modernismo, come pastiche creativo, invece è nei critici, nei Bozzolini e in quasi in tutti gli intervistati: si spennella di spiritualismo il sintetizzatore. L’idea di rivoluzione, tipica della sinistra sessantottina, si è trasformata nei figli in ribellismo mainstream, welfarizzato, in professioni di fede tipo “Dov’era lo stato?”.

È, ovvio quindi, che Battiato venga erroneamente visto come uno dei loro.

Ma ne ravvisiamo un’altra di citazione fondamentale, che non rende un buon servizio neppure alla causa post-sessantottina, quando si riporta il Battiato del “non voglio comandare e non voglio essere comandato”.

È quel che Manzoni attribuisce a Don Ferrante, personaggio semicomico, lunatico, l’ultimo degli Aristotelici, in un secolo scopertosi Cartesiano, che, in casa, non vuole comandare né obbedire alla consorte, Donna Prassede.

La biblioteca di Don Ferrante, descritta con minuzia di particolari curiosi, semigrotteschi dal Manzoni, ricorda il “Magic Shop” sul quale Battiato dirigeva i suoi strali antimoderni. Però Battiato, a sua volta, non vuole né comandare né obbedire, proprio come Don Ferrante, che non aveva fatto il Sessantotto. E neppure Battiato, siciliano tipo (come avanza non sviluppando Sgalambro): mezzo Bufalino, mezzo Sciascia, ma con sottobraccio La crisi del mondo moderno di Guénon. Altro che “Risorgimento in Sicilia” di Rosario Romeo, grande esempio di liberale autentico, quindi non un liberalsocialista. Ma questa è un’altra storia.

Ecco, un studio da intraprendere, perché anche Don Ferrante era coltissimo a suo modo, rinvia alla biblioteca di Battiato. Che secondo alcuni, ricordava il catalogo Adelphi. Di qui gli equivoci con la destra. Che scorgeva e scorge in Battiato una specie di casto D’Annunzio.

Cosa ha letto veramente Battiato? E anche di questo nel documentario di Bozzolini non c’è traccia.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://cargambesciametapolitics.altervista.org/franco-battiato-tra-caso-e-necessita/ .

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