Ieri un lettore, che ha avuto il mio numero di telefono, diciamo misteriosamente, ha posto, con grande garbo, una domanda interessante, che riassumo così.
“Come giustifica, dottore, il fatto che lei che ha avversato le politiche antipandemiche, perché apportatrici di statalismo, come ogni situazione emergenziale, così diceva, adesso davanti a un’altra emergenza, quella della guerra in Ucraina, sostiene la necessità di intervenire, favorendo così, quindi contraddicendosi, un’altra crescita esponenziale dello statalismo? Insomma, come mai pandemia e guerra, per lei, dal punto di vista sociologico, non sono pari? Non sono sempre due emergenze? Non “producono” statalismo? Forse non è più scientificamente vero, come lei ha sempre scritto, che le emergenze causano l’interventismo pubblico e colpiscono le libertà?”.
Verissimo – vengo alla mia risposta, che trascrivo – Covid e Ucraina sono due emergenze Che quindi producono eccetera, eccetera. Non nego l’esistenza di una regolarità sociologica tra emergenze e statalismo. Però, si rifletta, nel caso dell’Ucraina, sulle alternative al non intervento militare diretto, da me sostenuto.
Mi spiego.
Da un lato, escludendo i filorussi (pacifisti di parte), si possono distinguere, grosso modo, due tipi di pacifismo: puro e impuro.
Il primo sostiene il non intervento assoluto sul piano economico, politico e militare. Il secondo, appoggia invece le sanzioni economiche, ma non l’invio di armi (alcuni pacifisti impuri sarebbero favorevoli all’invio di armi difensive, ma si tratta di sofismo…).
Ora, il pacifismo puro cancellando, per così dire, l’emergenza (andare avanti come se nulla fosse successo) non può impedire l’aggravamento oggettivo della situazione economica internazionale, con conseguenze indirette, ma dure, anche per i paesi pacifisti che dovrebbero comunque affrontare in termini di razionamento la crescita dei prezzi delle materie prime, in particolare sul piano energetico.
Sarebbe solo questione di tempo. Anche perché gli Stati Uniti e altri paesi andrebbero comunque avanti nella politica di sostegno all’Ucraina, quindi nella politica delle sanzioni, anche senza il consenso dell’Italia. Pertanto il pacifismo puro, sintetizzando, non impedisce, il razionamento, il calmiere, i controlli, eccetera.
Il pacifismo impuro invece è già in guerra, perché le sanzioni economiche, sono un atto di guerra. Queste misure ricordano le guerre medievali quando si assediavamo castelli e città per affamare le popolazioni. Di qui, le controrisposte russe, come si è visto, che vanno a colpire direttamente le nazioni, per così, dire economicamente belligeranti. Ne seguirà, inevitabilmente, anche se per ora non se ne parla per ragioni di consenso politico e di ordine pubblico, una politica di razionamenti e di prezzi controllati.
Cosa voglio dire? Che l’opzione pacifista, pura e impura, implica, comunque, l’estensione dell’emergenza e l’intervento dello stato, come in occasione dell’epidemia, pardon pandemia.
Ora, in un quadro del genere, in pratica senza via d’uscita, le uniche possibilità che restavano – usiamo l’imperfetto, perché l’Occidente, come scrivevo ieri, ha ormai scelto la “strategia della lumaca (*) – era quella, in primo luogo, di far capire per tempo alla Russia che l’invasione avrebbe provocato una risposta militare convenzionale della Nato, per liberare l’Ucraina dagli invasori, e in secondo luogo, subito dopo l’ invasione, si doveva intervenire subito, con armamenti convenzionali, per respingere le truppe russe, oltre il confine ucraino. E mettere rapidamente fine al conflitto.
Riassumendo: esiste una regolarità sociologica, che dice che le emergenze, eccetera, eccetera, però, il buon senso politico dice a sua volta, che è possibile, ridurne la portata e la durata. Si chiama anche realismo politico.
Per capirsi: nel caso dell’epidemia di Covid, pardon pandemia, si è trasformata l’emergenza in una risorsa politica, in un moltiplicatore delle strutture pubbliche di controllo. Situazione dalla quale, dopo due anni abbondanti non siamo ancora usciti. Ora, nel caso dell’emergenza ucraina, sta succedendo la stessa cosa, perché i pacifisti puri e impuri, approvando o meno la strategia della lumaca (che piace in particolare i secondi, welfaristi a oltranza), allungano i tempi dell’emergenza. Sicché trasformano, l’emergenza ucraina in risorsa politica per estendere i poteri dello stato, fin quando, si dice, non sarà tornata la pace in Ucraina. Tradotto: fin quando i russi non si saranno stancati. Come si dice? Campa cavallo, eccetera, eccetera.
Il che può significare, fin dal prossimo inverno, razionamento energetico, alimentare, eccetera. Economia di guerra. Ovviamente evocando con la mano sul cuore – parlo di politici liberalsocialisti, come Biden, Draghi, Macron, eccetera – l’amore per la pace, che distinguerebbe l’Occidente welfarista, attento alle persone, dalla Russia guerrafondaia che spara su tutto quello che si muove.
Ciò può essere anche vero, però porta acqua al mulino dello statalismo occidentale. Si potrebbe parlare di ciclo politico del pacifismo: non si vuole fare la guerra per difendere la pace, però non facendo la guerra la situazione economica peggiora a prescindere, sicché lo stato deve intervenire, razionare, controllare, limitare, eccetera.
Si vuole il bene, la pace, si ottiene il male maggiore, l’illibertà. Perché si chiudono gli occhi, con le labbra a cuoricino, sul male minore: una guerra chirurgica.
A fronte di tutto questo non sarebbe stato meglio un intervento militare, ripeto, limitato rapido, veloce, risolutivo?
Il che credo spieghi la mia posizione, che è puramente utilitaristica: si trattava – purtroppo uso sempre l’imperfetto – di evitare il male minore.
Certo, la guerra, dicevano i nonni, una volta cominciata, eccetera, eccetera. Ma perché ora non siamo in guerra?
Carlo Gambescia
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