Il Salone del Libro di Torino, il 34°, ha chiuso i battenti con 168 mila visitatori all’attivo, il numero “più alto di sempre”, riferiscono gli organizzatori (*).
Il libro di successo stampato in milioni di copie rinvia, anche simbolicamente, alla modernità per eccellenza. Come pure l’idea che il libro formi, oltre che lettori colti e preparati, il cittadino perfetto.
Dietro l’idea del libro di massa, in grado di arrivare a tutti, c’è una grande idea di trasformazione sociale: che l’istruzione, quindi soprattutto la lettura, come tramite educativo, possa incivilire e ingentilire gli uomini, evitando guerre, se non addirittura conflitti, favorendo il pacifico confronto delle idee.
Dal punto di vista della storia delle idee, la “cultura politica del libro” rinvia all’Umanesimo, al Rinascimento, all’Illuminismo, insomma, come detto, alla parte più nobile e bella della modernità cognitiva.
Negli ultimi cinque secoli gli uomini sono migliorati? La lettura ha favorito l’ingentilimento dei costumi? Difficile dire. Il libro, come altri strumenti tecnologici, rinvia all’uso, come del resto ogni forma sociale rimanda al suo contenuto storico.
Per capirsi, la forma lettura (il libro e l’alfabetizzazione per leggerlo), rimanda al contenuto ( che può variare, da Pinocchio al Mein Kampf e al Manifesto).
E purtroppo, in nome di Pinocchio magari no. Però in nome del Mein Kampf e del Manifesto, non pochi uomini sono stati perseguitati, imprigionati e uccisi.
Pertanto, per rispondere alla domanda, nella migliore delle ipotesi il libro nulla ha tolto nulla aggiunto alla “sociale asocievolezza” dell’uomo (Kant).
E qui però veniamo all’aspetto ideologico ed economico del libro, due fattori che hanno contribuito alla rappresentazione della cultura del libro come prolungamento della cultura tout court.
Le idee si traducono sempre in fatti sociali. Cosa vogliamo dire? Che l’idea del libro che rende consapevoli sul piano sociale si è inevitabilmente tradotta nell’editoria di massa. Che proprio perché tale, nel senso di dover giungere a tutti, non poteva e non può privilegiare la semplificazione e l’uso di stereotipi sociali.
Inoltre, anche dal punto di vista dei costi economici, come giusto che sia, un libro deve garantire profitti, e per garantirlo deve essere venduto in grande quantità di copie. Ciò significa – non siamo i primi a dirlo – che un libro quanto più è raffinato, complicato per capirsi, tanto meno venderà.
Di qui, come anticipato, l’uso di stereotipi sociali, dal punto di vista editoriale e critico. Insomma, la chiusura del cerchio sociale. Si potrebbe parlare di veri e propri cicli editoriali, legati a mode e ideologie, condivise da editori, critici e lettori. Che mutano nel tempo, non mutando però nell’opera di semplificazione.
Riassumendo, la cultura del libro, dalla quale ci si aspettava la trasformazione dell’uomo in gentiluomo (semplificando), ormai invece rispecchia solo uno degli ambiti della semplificazione sociale che governa la società di massa, quello editoriale. Pertanto il famoso obiettivo della consapevolezza rinvia al conformismo dell’uomo massa verso mode, ideologie e pseudo-personalità carismatiche della cultura. Ennesima prova degli effetti perversi delle azioni sociali, magari animate da buonissime e illuminate intenzioni.
Dalla società pre-moderna, regno dell’analfabetismo, dove il libro era un bene elitario, apprezzato e usato da pochi intenditori e specialisti, si è passati alla società moderna, alfabetizzata, dove il libro è un bene di massa, a disposizione di tutti, intenditori e non.
Di conseguenza, le diverse élite degli intenditori e degli specialisti continuano a parlare tra di loro, selezionando pochi libri ma difficili, stampati in poche copie, mentre le masse alfabetizzate si nutrono di libri semplici, se non addirittura semplicistici, stampati in milioni di copie. La cultura, la vera cultura, non è per tutti. Ci si deve rassegnare.
Va detto, che nonostante la visione salvifica della cultura del libro, le masse non hanno mai risposto adeguatamente, anche perché volontà di sapere, spirito di concentrazione e capacità critiche sono doti elitarie, che appartengono a pochi. Di qui la perenne crisi dell’editoria e il tentativo, che ha un suo fondamento dal punto di vista economico, di stabilire la convergenza tra offerta e domanda al livello più favorevole, come contenuti semplificati, per il consumatore. Il che ha ulteriormente abbassato la qualità dei libri.
Concludendo, il fatto che il numero dei visitatori del Salone di Torino sia stato il più alto di sempre non rappresenta che una boccata d’ossigeno per l’editoria di massa. E certamente non per la cultura, che è cosa “di” e “per” pochi.
Carlo Gambescia
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