lunedì 16 maggio 2022

Forti e deboli. Una riflessione metapolitica

 


Intanto una curiosità. Gli antropologi spiegano che l’atteggiamento, pressoché universale, di simpatia e affetto verso i bimbi, soprattutto se in tenerissima età, è causato dalla conformazione fisica (ad esempio le dimensioni della testa leggermente più grandi del resto corpo). Però, oltre all’aspetto, ciò che colpisce e ispira tenerezza è quell’ essere indifesi e bisognosi di aiuto.

Non si dimentichi mai che svezzamento e cura nell’uomo fino alla piena autonomia, impongono, all’interno del regno animale, tempi in media più lunghi. Il che influisce sul recepimento e la trasformazione culturale di ciò che si potrebbe definire una specie di innata tenerezza verso i deboli.

Tuttavia, il rispetto verso chi sia indifeso, non è nell’uomo una risorsa naturale di specie, per capirsi – semplificando – un riflesso. Il che spiega le origini culturali di un imperativo di tipo etico accolto da non poche religioni e morali, che vieta di infierire sui deboli, o addirittura su chiunque si trovi in difficoltà o in condizioni di inferiorità.

Purtroppo, la storia mostra, senza tanti riguardi per gli imperativi etici, la cancellazione e deportazione di interi popoli come pure il massacro di donne e bambini. Sul rispetto del debole non c’è accordo culturale.

Dal punto di vista politico e militare, a meno che non scelgano un alleato forte, i deboli soccombono sempre. Fermo restando, il fatto, che anche i deboli, quando si trasformano in forti, non sono da meno. Per inciso, la nostra definizione di forte e debole rinvia alla comparazione delle oggettive risorse possedute dagli attori politici in ambito economico, militare, demografico, territoriale.

Sul piano delle ideologie di legittimazione dell’ eliminazione dei deboli, la storia è ricca di argomentazioni giustificative, come a proposito delle triste fine di numerose minoranze religiose e politiche. Va però ricordata anche la soppressione da parte di minoranze, una volta divenute maggioranze, delle precedenti maggioranze, a loro volta trasformatesi in minoranze.

Sembra un gioco di parole, ma i decreti teodosiani (391-392 d.C.) di chiusura dei templi pagani al culto offrono un ottimo esempio storico e sociologico della parabola minoritaria-maggioritaria del conflitto tra due ideologie religiose.

Tuttavia, il ciclo politico della violenza dei forti sui deboli, che rinvia alle cose come sono, non significa che esso sia giustificato dal punto di vista morale, cioè di come devono essere le cose. Infatti, studiare dal punto di vista metapolitico, le cose come sono, non significa giustificare le cose come sono dal punto di vista etico. Traducendo un giudizio di fatto in giudizio di valore.

Ciò è reso tanto più vero dal continuo sforzo umano di accrescere ed estendere la validità universale di un principio etico teso a condannare chiunque approfitti e infierisca sui deboli. Come pure, al contrario, è dimostrato dall’esistenza di ideologie rivolte a legittimare l’uso della violenza contro i deboli.

Il lato tragico di tutta la questione è nel fatto che il conflitto culturale sulle giustificazioni, diventa “il” conflitto. Dal momento che per inevitabili ragioni di natura utilitaria e organizzativa, prodotte dalla logica immediata del successo, ci si concentra sulle ragioni che giustificano la violenza del forte  sul debole, e non più sul perché il forte debba approfittare del debole. Addirittura il ciclo politico della violenza del forte sul debole, viene giustificato, fatalisticamente, all’insegna di un prosaico “oggi a te domani a me”.

Si ricordi, come narra lo storico Polibio, il pianto di Scipione Emiliano, vincitore nella Terza guerra punica, davanti alle rovine Cartagine. Il condottiero romano si commosse pensando a come “la sorte di città, popoli, domini, muti al pari del destino degli uomini: così era accaduto a Ilio, città una volta potente, così era accaduto ai regni degli Assiri, dei Medi e dei Persiani, che erano stati grandissimi ai loro tempi” (Frammenti del Libro XXXIX, 5,6). Polibio, come Scipione, ne dedusse, in termini di organica teoria politica, che un giorno tale cattiva sorte sarebbe toccata Roma, come pure a tutte le organizzazioni politiche di largo respiro.

Con tutto il rispetto per Polibio, “graeculo” di genio, ma restare a guardia dei fatti, dal punto di vista dell’analisi metapolitica, non significa giustificare la violenza del forte contro il debole, dal momento che,  come si sente tuttora ripetere,  i forti di oggi saranno i deboli di domani e viceversa, quindi, temporalmente parlando, pari sono.

Come detto, sotto il profilo dell’antropologia culturale esistono due grande correnti: la prima che giustifica il primato del forte sul debole, la seconda che invece non lo giustifica.

Chiunque voglia analizzare i fatti obiettivamente non può non prendere atto che, di fatto, i forti si approfittano sempre dei deboli, e i deboli, a loro volta, se si vogliono salvare devono rivolgersi ad altri forti. Dal momento che, piaccia o meno, risulta difficilissimo se non impossibile persuadere il forte a rinunciare alle proprie prerogative sul debole. Quantomeno, il forte andrebbe minacciato da un altro forte alleato però del debole.

Qui si rivela tutta la vacuità del pacifismo che punta esclusivamente sulla forza di persuasione, che come detto da sola non basta. Scipione Emiliano, pianse, ma solo dopo aver distrutto Cartagine.

Perciò per l’analista metapolitico restare a guardia dei fatti significa, trovare un punto di equilibrio tra gli editti teodosiani e le lacrime di Scipione di Emiliano.

Impresa difficile. Resa ancora più complicata dalle simpatie ideologiche, che lo studioso di metapolitica, come ogni essere umano, non può non nutrire. Come conciliare le proprie simpatie politiche con lo studio obiettivo dei fatti?

Possiamo solo dire che secondo le note tesi di Max Weber, l’ articolo che oggi abbiamo scritto, potrebbe anche bastare, perché descrive i fatti per quello che sono, nelle varie sfumature, pro o contro. Lo studioso descrive e spiega, il politico decide e agisce.

Tertium non datur.

Carlo Gambescia

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