venerdì 13 maggio 2022

Perché la Russia non ha paura dell’Europa

 


In termini di crudi rapporti di forza, un Augusto, un Carlo Magno, un Carlo V, un Napoleone (che lo fece sul serio), avrebbero messo fine alla situazione largamente deterioratasi con la Russia passando alle vie di fatto. Tradotto: la guerra. Diciamo, senza tanti problemi, per forma mentis realista, eroica o le due cose insieme  (decida il lettore).

In qualche misura l’ultimo europeo a scorgere nella guerra, e nella guerra alla Russia, la “soluzione finale” fu Hitler. Al quale risposero, non sottraendosi, seppure dopo qualche esitazione, altri europei, tra i primi, Churchill e de Gaulle, e un americano, Roosevelt. E vinsero. Senza la “guerra americana”, Hitler avrebbe divorato l’Europa, foglia dopo foglia, come un carciofo. Probabilmente anche la Russia, ricacciata verso l’Asia.

Che significa però rifiuto della guerra come forma mentis? Dell'accettazione abbiamo già detto.  Innanzitutto, la forma mentis  rinvia al modo di considerare le vicende umane. Ad esempio, si parla di forma mentis come prolungamento dell’ indole di una persona, frutto anche del modellamento educativo.

Ecco si pensi all’Europa come a una gigantesca persona, dai modi affabili, su di peso, che si ingozza di pasticcini. Un corpaccione, lento nei movimenti. O meglio una specie di mollaccione che non vuole fare il soldato per restare vicino “a mammà”. Che inorridisce al solo suono della parola guerra.

Ovviamente, ciò avviene per bocca dei suoi uomini politici, che a destra come a sinistra non vogliono sentir parlare di guerra per non perdere voti.

Di conseguenza, nel momento in cui la Russia, proprio come Hitler, ha avuto la certezza matematica che l’Europa, delle élite come delle masse, non avrebbe risposto all’invasione dell’Ucraina, ha deciso di attaccare.

Se gli Stati Uniti, bene o male che sia, non avessero preso in pugno la situazione, minacciando la Russia e armando Kiev, l’Ucraina, come nazione indipendente, ora non esisterebbe più, o comunque sarebbe sotto un fuoco nemico, ancora più intenso.

Per fare un esempio della spietatezza russa, si pensi a un fatto: nonostante la reazione americana, oltre ai balletti russi sul rubinetto energetico, sempre sulle prime pagine, Mosca ha minato le acque intorno a Odessa, proprio per colpire il commercio mondiale del grano e così affamare i nemici. Cosa quasi passata inosservata sui mass media. In realtà, anche simbolicamente, si tratta di una misura, se ci si perdona il termine “meloniano”, infame.

E l’Europa come reagisce? Per bocca di Draghi parla di piano Marshall per l’Ucraina. Quando le spese della ricostruzione dovrebbe pagarle la Russia. Un tempo si chiamavano riparazioni di guerra. Insomma, Draghi, personaggio dalla faccia di bronzo senza precedenti, parla del dopo, per non parlare del prima: cioè di una guerra ancora in corso, sostenuta, bene o male, dagli americani. Guerra che dovremmo vincere.

Ma vittoria così significa? Respingere la Russia entro i propri confini? Andare oltre, minacciando e colpendo la sua integrità. Dilagare, al di là degli Urali, giungendo con i cingolati ai confini con la Cina, per appropriarsi delle risorse russe?

In realtà, la “grande politica” delle masse militari in movimento sembra finita da un pezzo. Magari non del tutto per la Russia (Ucraina docet). Tuttavia, si può dire che l’arma nucleare ha mutato la logica delle guerre di conquista. Non è più questione dell’esistenza o meno di una leadership dura e decisa in cerca di gloria e potenza da conquistare sui campi di battaglia, ma di evitare a ogni costo l’olocausto nucleare. Il che però non significa che un uomo politico, anzi un uomo di stato, assetato di potenza non possa non lanciarsi all’ assalto del potere mondiale.

Putin appartiene a questa “razza”? Lui probabilmente crede di sì. Che poi sia in grado di portare a termine la sua “missione” è un’altra storia.

L’Europa per contro, come si diceva, per forma mentis, è incapace di fare qualsiasi tipo di guerra, di conquista come di difesa. Si noti, dinanzi alla richiesta finlandese e svedese di adesione alla Nato, la diversa reazione degli Stati Uniti e dell’Europa: gli americani hanno accolto con favore, gli europei con freddezza: i pasticcini welfaristi non si toccano anche a costo di mandar giù la medicina russa.

Repetita iuvant: piaccia o meno, senza gli Stati Uniti, la Russia si sarebbe già impossessata dell’intera Ucraina.

Concludendo, Mosca non teme l’Europa, la vede, giustamente (dal suo punto di vista), debole, disunita, contraria alla guerra, a prescindere, per forma mentis, dicevamo.

Con gli Stati Uniti invece il discorso è diverso. Pur, tra alti e bassi decisionali, frutto dell’assenza di una strategia unitaria (imperiale per gli Usa, impero per caso, è parola grossa), i russi ne temono le reazioni.

Non è solo questione di armi nucleari. La forma mentis degli Stati Uniti, storicamente parlando, non esclude le maniere forti: il famoso cowboy delle pellicole non è solo un’invenzione cinematografica. Si pensi alla famosa frase pronunciata da Nevada Smith-Steeve McQueen: “ Ho un fucile, un cavallo e otto dollari, basteranno”. A che cosa dovevano bastare? A catturare e uccidere gli assassini dei genitori. Cosa che Nevada porterà a termine, uccidendoli una volta, dopo varie peripezie.

Quella citazione, che per significato va oltre le chicche cinefile, riflette bene l’anima avventurosa di un popolo. E due colossali e vittoriose guerre mondiali. Altro che la vecchia e decadente Europa, malata di welfare e golosa di pasticcini.

Sicché i russi non temono gli europei. Ma temono gli americani. E fanno bene.

Carlo Gambescia

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