Prima i fatti.
«(ANSA) – ROMA, 29 MAG – “Il futuro dei territori dell’Ucraina dove la Russia sta conducendo la sua operazione militare speciale dovrebbe essere deciso dai loro cittadini”.Lo ha detto il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, in un’intervista alla tv francese Tf1 ripresa dalla Tass.”Non credo che saranno felici di essere di nuovo governati dal regime neonazista che ha rivelato la sua natura totalmente russofoba. Tocca ai cittadini stessi decidere”, ha aggiunto. (ANSA)» (*).
Il principio di autodeterminazione del popoli risale alla Rivoluzione francese. Strettamente collegato all’idea di sovranità popolare e al principio romantico dell’esistenza di un nesso tra popolo, lingua e nazione. L’idea era quella che a decidere i destini di ogni popolo non dovessero essere i monarchi ma i popoli. Come? Esprimendo con il voto l’ appartenenza a un determinato stato-nazione. L’autodeterminazione appunto.
In sintesi, tante lingue (quindi tante culture e storie differenti) quante nazioni (quindi unità di coloro che parlano la stessa lingua e hanno la stessa storia e cultura), quanti stati (quindi unità politico-amministrativo tra coloro che parlano la stessa lingua e hanno la stessa storia e cultura).
Il Risorgimento italiano fu un portato di tale idea, ma lo furono anche quello belga, greco, tedesco, balcanico, e così via fino all’inserimento del principio di autodeterminazione nei Quattordici punti del presidente americano Wilson, principio che dopo la Prima guerra mondiale avrebbe dovuto inaugurare un’era di pace. Dal momento che il principale nemico dell’autodeterminazione dei popoli in Europa, l’Impero Austro-Ungarico, era stato spazzato via.
Purtroppo, la realtà si è vendicata, provando che la storia e la sociologia delle autodeterminazioni sono molto complesse. Come del resto provarono fin dall’inizio le difficoltà incontrate durante la stesura dei trattati di pace (1919-1920) dopo la Prima guerra mondiale a proposito dell’ applicazione del principio di autodeterminazione all’Europa Centrale e Orientale. Come pure comprovò a suo tempo l’uso aggressivo che ne fece Hitler nel 1938 sulla dirompente questione dei Sudeti, che portò alla sparizione-spartizione della Cecoslovacchia. Poi toccò, l’anno dopo, per la quarta volta alla Polonia, fagocitata da comunisti e nazisti, come scolpito nei protocolli segreti del patto Molotov-Ribbentrop.
Per non parlare dell’estensione del principio di autodeterminazione alla decolonizzazione africana. Che scatenò terribili lotte tra un numero infinito di minoranze etniche.
Un inciso. Per l’Africa, la colpa venne addossata agli europei, che in epoca coloniale, si diceva, avevano diviso per egoistici conflitti di potenza, i popoli africani, secondo linee immaginarie. In realtà però, già prima dell’arrivo degli europei, la diffusione, non sempre pacifica, della fede islamica, aveva diviso l’Africa in tronconi da Nord a Sud. Per non parlare delle profonde divisioni, risalenti alla notte dei tempi, tra etnie nomadi e popoli sedentari. Il commercio degli schiavi, in prima battuta fu alimentato dagli stessi reucci dell’Africa subsahariana che vendevano, intere etnie sconfitte nelle guerre tribali ai mercanti arabi, spesso nordafricani (che trattavano anche schiavi cristiani). Mercanti che a loro volta trafficavano con gli europei (all’inizio portoghesi). Insomma, un quadro complesso.
Cosa vogliamo dire? Che applicare alla lettera il principio di autodeterminazione, sociologicamente parlando, significa includere ed escludere. Resterà sempre qualcuno che protesterà. E magari in modo violento.
Il che però significa che in una democrazia liberale, che parla e non spara (forza e debolezza del liberalismo, ma questa è un’altra storia), coloro che protestano saranno in qualche modo tollerati e inclusi. Per contro, in uno stato autoritario, dove appena si parla di minoranze si pone mano alla pistola, i “localisti” saranno invece esclusi e oppressi. In Russia, fin dall’epoca degli Zar, interi popoli recalcitranti venivano deportati senza tanti complimenti e appena possibile sostituiti con i russi.
Parliamo di democrazie liberali consolidate. Anche perché la perfezione non esiste. Infatti, la repressione italiana del brigantaggio post-unitario fu durissima. Però non si poteva fare diversamente: l’ Impero Austro-Ungarico avrebbe approfittato del primo segno italiano di debolezza per riprendersi i propri diritti dinastici.
Diverso invece fu il trattamento delle minoranze di lingua tedesche in seguito agli accordi De Gasperi-Gruber (tra due Repubbliche, italiana e austriaca). Ma si pensi anche all’ intelligente legislazione speciale e statutaria per il Sud, dopo la caduta del fascismo, quando l’Italia repubblicana seppe attingere alle ritrovate tradizioni di uno stato liberale, che comunque, dopo il tumultuoso decennio, post-unitario, si era consolidato nella libertà.
Ora per venire al punto: Lavrov è il portavoce di uno stato autoritario che cerca di riprendersi con la forza militare il Donbass (come se oggi l’Austria rivolesse Trentino, Friuli e Veneto, con la forza). Perciò che valore può avere, in un contesto del genere, politico (stato autoritario) e militare (occupazione armata), il principio di autoderminazione? Crediamo, pari a zero.
Oggi certa storiografia italiana, nostalgica dei Borboni, parla del processo risorgimentale come di un processo di colonizzazione militare. In realtà, basta leggere le opere di Giuseppe Galasso, in particolare la Storia del Mezzogiorno da lui diretta, come pure l' eccellente Risorgimento in Sicilia di Rosario Romeo, per capire come l’Unità d’Italia fu fortemente voluta dai liberali meridionali e dai ceti riflessivi e produttivi, già aperti all’Europa, quindi non solo all’Italia. Diciamo che il Mezzogiorno italiano era già oltre la stessa unità d’Italia, dal momento che guardava all’Europa come a un’unità politica ed economica. Questa la lezione italo-europea, diciamo, dei Galasso e dei Romeo.
E nonostante ciò, il primo decennio post-unitario non fu facile. Coscrizione e nuovi e regolari tributi favorirono il brigantaggio. Fu la rivolta, comprensibile, di contadini, ai limiti della sopravvivenza, che non conoscevano servizio militare, perché la guerra era appannaggio di truppe mercenarie, né i tributi, perché sostituti dalle corvée feudali al monarca, al principe e alla chiesa. Ma la reazione, come detto, non poteva non essere inflessibile. Durezze della storia.
Ora, il Donbass non è il Mezzogiorno d’Italia nel 1860, socialmente arretrato, quindi conosce e apprezza la libertà civile e di mercato, come del resto la Russia non è una democrazia liberale, né un’ardente seguace della globalizzazione economica. Anzi, non perde occasione per deridere i valori liberali dell’Occidente.
Quindi i ruoli si sono invertiti, semplificando: un Sud moderno (il Donbass e l’Ucraina), un Nord, arretrato (la Russia).
Cosa potrà succedere all’indomani della “liberazione” e della cosiddetta autodeterminazione evocata da Lavrov?
Carlo Gambescia
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