Sebbene sulla strage di Capaci sia stata fatta piena luce, come si può capire dalla chiusa dell’omonima voce wiki, la costruzione della macchina mitologica del complotto occulto mantiene tuttora il suo fascino perverso.
Intanto, qui, le conclusioni dirimenti di Sergio Lari, procuratore di Caltanisetta:
«Infine nel 2013 la Procura di Caltanissetta archiviò definitivamente l’inchiesta sui “mandanti occulti” poiché le indagini non avevano trovato ulteriori risultati investigativi: “Da questa indagine non emerge la partecipazione alla strage di Capaci di soggetti esterni a Cosa nostra. La mafia non prende ordini e dall’inchiesta non vengono fuori mandanti esterni. Possono esserci soggetti che hanno stretto alleanze con Cosa nostra ed alcune presenze inquietanti sono emerse nell’inchiesta sull’eccidio di Via D’Amelio: ma in questa indagine non posso parlare di mandanti esterni” »
(Sergio Lari, procuratore di Caltanissetta, in un’intervista al “Giornale di Sicilia” aprile 2013 *)
Oggi, come ogni 23 maggio, si celebra l’anniversario della tragica morte di Giovanni Falcone, della consorte e degli uomini della scorta. E come ogni 23 maggio non si riflette sulla forza del mito, anzi della macchina mitologica, per usare il termine valorizzato da Furio Jesi.
Innanzitutto del mito repubblicano, ormai rappresentato da Giovani Falcone, giustamente celebrato per carità. In secondo luogo dal mito del romanzo criminale sulla mafia tentacolare, politicamente tentacolare.
Si ripete spesso come la politica, dopo la caduta dei totalitarismi novecenteschi, sia tornata finalmente ad essere una attività razionale. In grado di tenere sotto controllo l’uso del linguaggio mitologico.
Linguaggio che invece parla all’immaginazione, allontanandosi dalla realtà delle cose: una specie di macchina musicale, una misteriosa music box che conquista i cuori ma brucia le menti. Una macchina che piuttosto che essere a guardia dei fatti, punta alla coesione di una comunità immaginaria. La macchina mitologica fagocita il concetto di pubblica opinione, traducendolo in comportamento di massa, nel rituale del crucifige.
Ad esempio, uso della ragione significa respingere, nel bene come nel male, qualsiasi idea di carisma, elemento mitologico fondamentale. Non credere, insomma, nelle misteriose virtù taumaturgiche dei capi, buoni o cattivi che siano. Per dire una cosa sgradevole, ma incontrovertibile, la deificazione mitica di un re, di un eroe, di un criminale, risponde alla stessa macchina mitologica del superuomo: cambia solo il contenuto non la forma della macchina che rinvia ai linguaggi e ai comportamenti stereotipati del pro o del contro.
D’altra parte essere dalla parte di una ragione, che lucidamente analizza le cose, significa rinunciare, per usare un termine alla moda, a qualsiasi di forma di deificazione individuale, come pure di complottismo rituale.
Oggi la mafia in Italia non è più vista come un’ organizzazione criminale, un fatto sociologico, ma come una mitologica piovra dai tentacoli invisibili, che naturalmente arrivano fino a Roma.
Ci si dovrebbe perciò interrogare sui danni irreversibili all’intelligenza italiana causati dal romanzo sulla mafia (**). Non solo però: si pensi anche ai danni provocati all’idea di una liberal-democrazia, laica, lucida, razionale, in una parola sciasciana, capace di battersi contro la mafia evitando accuratamente di restare prigioniera dei meccanismi della macchina mitologica.
Purtroppo le cose non vanno così, e anche quest’anno si ripetono a pappagallo i copioni sui "depistaggi" e su "tutto quello che non torna".
Carlo Gambescia
(*) Qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_Capaci .
(**) Qui alcuni miei articoli dedicati alla questione del “romanzo criminale” sulla mafia: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/search?q=romanzo+criminale .
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