venerdì 17 aprile 2020

Riflessioni
Senza  rischio non c’è vita sociale e non c'è libertà

Pochi sanno che la più grande rivoluzione della storia, in termini politici, sociali, economici, culturali, non rimanda a nessun disegno umano.
Parliamo della rivoluzione capitalista: della costruzione dal basso, senza alcun progetto delineato, di una società  che si è alimentata di scambi  e diritti,  ponendo gli uomini per la prima volta nella storia sul  piano di parità formale. 
Naturalmente l’interazione tra  scambi, diritti e parità si è sviluppata  in corso d’opera,  senza che nessuno sapesse cosa stava accadendo. Questo perché  alle origini della cultura capitalista c’è l’accettazione o meglio il riconoscimento  del rischio sociale: di una regolarità sociologica ben rappresentata da fenomeni socialmente naturali come  l’ uscire dal gregge, il  tentare qualcosa di nuovo (magari fino a quel momento proibito dalla Chiesa e dallo Stato Assoluto), qualcosa che però può portare guadagno, onore e altre soddisfazioni, anche culturali, ma sempre personali, perché frutto di interessi individuali, non imposto dall'alto, dal re o dal prete. 
Detto in breve, corsari, mercanti, conquistadores, agenti coloniali, inventori, speculatori,  ingegnosi artigiani, abili coltivatori e proprietari terrieri,  non  immaginavano di edificare la  società capitalista. Si agiva come sempre aveva agito l’uomo, ma questa volta abbattendo, altrettanto  misteriosamente, tutti gli ostacoli politici.
Per contro, la prima teorizzazione della società capitalistica  risale al suo principale nemico, Karl Marx.  I capitalisti erano tali senza saperlo, almeno fino alle pubblicazione delle opere marxiane (e della  conseguente costruzione dei partiti politici anticapitalisti). Con Marx si consolidò e diffuse l’idea della possibilità della costruzione di una società dall’alto, di una società priva di rischi, dove vivere in totale sicurezza. Il marxismo, impasto di scientismo e romanticismo, non digeriva ( e digerisce)  la cultura del rischio:   all’interesse individuale opponeva ( e oppone)  l’interesse collettivo.

Interesse individuale, interesse collettivo, accettazione rischio, rifiuto del rischio, sono nozioni e  concetti operativi che dopo Marx si sono  sovrapposti come successive razionalizzazioni a una realtà sociale, invece realmente fondata, come spiega la sociologia, sulla base della ricerca dell’interesse individuale:  ricerca individuale  che aveva permesso  -  ecco l’unicum storico -  l’invisibile rivoluzione capitalista.
Marx in qualche modo porta in luce tale realtà, però storicizzandola.  Proponendosi così,  grazie a un escamotage concettuale, di  distruggere il capitalismo. Da buon teorico della scrivania, Marx ignora che in questo modo avrebbe  invece distrutto una realtà sociale in quanto tale, che, non è marxista né capitalista, ma  rischiosa e concreta ricerca dell’interesse individuale:  una sfida, insita nelle cose sociali,  che storicamente e sociologicamente  si è sempre confrontata con poteri estranei all’individuo. Misteriosamente finalizzatasi  in età moderna nella società capitalista. E in che modo? Grazie agli scambi invisibili (del proto-capitalismo, che non sapeva  essere tale)  e all’interazione  di questi  con  lotta per  diritti l’uguaglianza formale (del proto-liberalismo, altrettanto ignaro di ciò che  stava accadendo).

Il marxismo è morto ma ha lasciato in eredità ai vari movimenti sociali collettivisti di sinistra e di destra la cultura dell’antirischio: una mistura  di romanticismo e scientismo che si impone di costruire dall’alto la società perfetta dove ogni rischio sarà eliminato. Si ignora volutamente che l’eliminazione del rischio, cioè l’accettazione  del fatto che la caduta di alcuni possa garantire la libertà di tutti gli altri,  uccide alla radice  quel perseguimento dell’interesse personale che è alla base di ogni reale agire sociale. Sotto questo aspetto, se proprio un senso si vuole trovare nella storia umana, esso è rappresentato  dal  conflitto  tra cultura del rischio e della libertà e cultura dell’antirischio e dell’illibertà. Semplificando, forse troppo, tra società senza padri e patriarcalismo.   
La cultura antirischio, al fondo patriarcale, a causa dell' epidemia di Coronarvirus,  ha  preso di nuovo forza e rischia di seppellire la società sotto un oceano di regolamenti, controlli, norme.  Sono tutte misure che sfiancano moralmente gli individui: li sottomettono  e trasformano  in bambini bisognosi di aiuto in cerca di padri benevoli.  Ciò non  è  solo contro il capitalismo, ma contro le leggi che regolano  la vita sociale  in quanto tale.
Senza il  rischio non c’è  la società, dove non c'è la società c'è la caserma, e dove c'è la caserma non c'è libertà.   


Carlo Gambescia