mercoledì 8 aprile 2020

 Isteria e società
Anatomia sociologica dell’epidemia di Coronavirus



Insistiamo sulla  nostra tesi, avanzata fin dall’inizio,  circa la natura isterica dell’epidemia di coronavirus. Socialmente isterica. “Anatomia” , la nostra,  che trova puntelli pratici nel basso numero di contagiati e morti a livello mondiale, come  nelle reazioni politiche decisamente spropositate e socialmente pericolose. 
Inutile, qui,  insistere sui dati storici, reperibili in rete. L’epidemia di Coronavirus nulla ha in comune, ad esempio, con la pandemia influenzale spagnola, citiamo dall’Enciclopedia Treccani,

“degli anni 1918-19, [che] si diffuse in Italia in tre successive ondate colpendo quasi tutto il paese e provocando circa 400.000 decessi: si ritiene che oltre 200 milioni di persone siano state colpite dalla malattia in tutto il mondo e che il numero dei morti sia stato superiore ai 10 milioni. Alcuni dati riferiscono di circa 50 milioni di morti.”  


Un atteggiamento passivo
Esageriamo?  Isteria, concetto più psichiatrico  che sociologico. Poi  "evocare"   addirittura isteria collettiva… Diciamo che,  sociologicamente parlando, l’isteria implica sul piano collettivo,  un atteggiamento passivo di fronte all’evento catastrofico, o inteso come tale, passività   che facilita il controllo sociale da parte delle autorità  politiche grazie alla promessa politica di reintegrazione del sé sociale. Detto altrimenti:  “Di un ritorno alla normalità”. 
Il soggetto collettivo isterico vive immerso  in una condizione di colpevolezza, abilmente  amplificata  dalle autorità  politiche  per favorire un controllo sociale,  giustificato o meno, su una collettività  ridotta allo stato infantile.


Un fenomeno regressivo
In qualche misura l’isteria sociale è una forma di regressione a uno stato evolutivo arcaico, dove comando e obbedienza  - fattori alle radici di ogni forma di potere -  non hanno necessità di alcuna continua e snervante mediazione ideologica.  Detto altrimenti, il potere, alla classica domanda del “perché”, risponde  con un imperativo verbale: “Si fa così, perché si deve fare così”. Si è trattati come bambini. Si pensi solo   alla metafora italiana, di questi giorni,  “Del tutti liberi”,  usata dalle autorità politiche, come se l' intera Italia giocasse a “Tana, liberi tutti”…

La sindrome cinese
Il fenomeno della passività, frutto di isterismo sociale, viene però dopo il fenomeno catastrofico. In prima battuta, va esaminata la reazione delle autorità politiche, che, anche in questo caso, si è subito configurata, quasi ovunque,  in termini di mimesi sociale dei provvedimenti coercitivi, presi dalle autorità cinesi. Probabilmente, se l’epidemia fosse cominciata in uno stato liberaldemocratico,  l’approccio politico alla questione  avrebbe preso altre strade, meno coercitive. Il caso invece ha voluto che iniziasse in Cina, sicché il meccanismo sociale mimetico - che è  una macchina sociale neutrale -  si è trasformato in un moltiplicatore dell’autoritarismo politico della sindrome cinese. E qui, va anche considerato, un fattore storico,  in particolare per l’Italia (che poi, a sua volta,  ha fatto tristemente scuola), la presenza al governo di forze populiste nemiche della liberal-democrazia e distinte da forti pulsioni  autoritarie.


Il rinforzo politico-mediatico
Ovviamente,  la scelta cinese  dell’Italia ha imposto, per dare un minimo di giustificazione alle sue politiche draconiane, la sistematica sopravvalutazione del “fenomeno epidemia” nei termini di una strategia del rinforzo mediatico, attraverso lo sviluppo di un giornalismo embedded, fortemente limitato (e autolimitatosi),  nella libertà di  espressione. Va però  ricordato che, nell’ambito di una cultura mediatica intrisa di cultura  catastrofista - la principale cultura del nostro tempo -  l’evento-epidemia ha subito  rappresentato un potente veicolo di moltiplicazione  culturale, sociale  economica, del messaggio-epidemia, infatti immediatamente  trasformato  sul piano giornalistico  in  pandemia.  

Un processo a spirale
La strategia del rinforzo politico-mediatico ha influito sulla “isterizzazione” dell’epidemia, che a sua volta, ha giustificato le misure draconiane, che a loro volta, hanno condizionato, il rinforzo politico-mediatico. Come si può capire si tratta di un meccanismo a spirale, che autoriproduce se stesso, e difficilmente può essere arrestato, neppure da una condizione oggettiva, per così dire,   di cessato allarme epidemico. O comunque non subito. Perché esistono codici sociali di deferenza, che impongono, la giustificazione ex post delle misure coercitive prese. Detto altrimenti: nessuno vuole perdere la faccia.


Gli scienziati come gruppo istituzionalizzato
Interessante infine la posizione sociale  degli scienziati, che è cosa diversa dall’esercizio della scienza pura. Come ogni gruppo sociale istituzionalizzato, gli scienziati, una volta investiti dal peso, diretto o indiretto, delle valutazioni politiche, hanno uniformato le valutazioni “scientifiche” ai desiderata del potere. Esemplare la posizione dell’Oms, organizzazione burocratica per eccellenza,  che di scientifico non ha proprio nulla.
Purtroppo sono fenomeni inevitabili legati al ruolo sociale della scienza  una volta istituzionalizzata, ruolo “politico” che non ha nulla a che vedere con le discussione epistemologiche.  Pertanto il coercizionismo cinese, nel suo processo planetario di diffusione mimetica, ha potuto avvalersi del “placet” della scienza medica (istituzionalizzata).

Conclusioni
I processi sociali di diffusione di valori e comportamenti hanno natura mimetica. Il che vale -  nel bene come nel male - per la diffusione del liberalismo ottocentesco e del totalitarismo novecentesco, come  oggi del conformismo epidemico. Naturalmente la componente isterica di massa fa la differenza sul piano  dell’accettazione da parte della gente  di misure politiche, semplificando,  all’insegna  del  “Costi quel che costi”.  Quanto più l’isteria di massa è diffusa tanto più diviene facile  ottenere obbedienza. Il che per il potere, soprattutto se animato da pulsioni autoritarie,  è un fattore di  legittimazione e stabilità.
Per contro, una politica prudente e realista, diciamo liberale, dovrebbe  sempre   evitare di ricorrere o addirittura alimentare l’isteria di massa come forma di controllo politico e sociale. Purtroppo, quanto più ci si allontana dai principi liberali, tanto più diventa difficile evitare di ricorrere al “fattore isterico”. E gli effetti, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti. Anzi “sarebbero” sotto gli occhi di tutti, perché in realtà l’isteria diffusa resta  una forma di grave cecità politica collettiva. 

Carlo Gambescia