domenica 26 aprile 2020

Il 25 aprile e  gli italiani

Chiedere ai fascisti di celebrare il 25 aprile è come chiedere  ai soldati di Napoleone di festeggiare Waterloo. Non si può chiedere agli sconfitti di  celebrare una sconfitta. Come non si può chiedere ai vincitori di non celebrare un vittoria.  Però, ecco,  sorge allora una domanda: chi  vinse chi il 25 aprile? Sicuramente vinse l’antifascismo e perse il fascismo. E giustamente.  Ma l’antifascismo era un valore, già all’epoca,  “sentito” da tutti gli italiani?
Diciamo subito, che le masse, si distaccarono dal fascismo durante la guerra. Un immane conflitto che venne “sentito” dagli italiani, dal popolo insomma,  soprattutto come guerra fascista. E di conseguenza, una volta che le cose si misero male, con riflessi dolorosissimi (soldati caduti, razionamenti e fame, bombardamenti alleati, occupazione tedesca e nazista, guerra civile),  il fascismo che  aveva imposto e dichiarato la guerra  ne pagò le conseguenze ultime.
Sotto questo profilo, l’antifascismo, per il popolo   fu una specie di appendice rabbiosa e disperata, che innervò, soprattutto durante la guerra civile, la lunga attesa dell' enorme "area grigia" (De Felice), maggioritaria,  costituita  dagli italiani che rimasero trepidanti alla finestra in attesa che tutto finisse quanto prima .   
Durante il Ventennio, avanti la guerra, la gente comune, e i rapporti dei prefetti sono lì a testimoniarlo,  apprezzava, semplificando (per capirsi insomma), i treni in orario, l’ordine e la normalità.  La rinuncia alla libertà feriva, ma non  più di tanto,  neppure le  élite colte. Come provano la larga adesione al  giuramento dei professori universitari e gli applausi del gruppo di storici della volpiana Scuola romana in occasione della Proclamazione dell’Impero, anno di grazia 1936, in quel di Piazza Venezia. Poi divenuti quasi tutti rigorosi antifascisti.    
Il fascismo, prima dell’involuzione totalitaria, legata all’alleanza hitleriana e alla guerra, usò verso  gli intellettuali, ovviamente se spoliticizzati (almeno in pubblico), un occhio di riguardo. L’importante magistero morale e intellettuale di Croce è lì a provarlo. Ovviamente il fascismo era una dittatura  che colpì  con durezza gli avversari politici, e non importa se professori o meno. L’assassinio  dei fratelli Rosselli ne resta forse  la prova più atroce.

Probabilmente, se Mussolini, come Franco,  non fosse sceso in campo, il fascismo avrebbe seguito la sorte del franchismo spagnolo, spegnendosi lentamente in un lungo diluito e accidioso dopoguerra. Mussolini come Franco sarebbe morto di vecchiaia in pigiama e il fascismo si sarebbe decomposto lentamente, dividendosi in fazioni cattoliche, mussoliniane, monarchiche, conservatrici e progressiste. Anche la stessa  Monarchia non sarebbe caduta. La permanenza al potere  dei Savoia nel dopoguerra europeo  avrebbe addirittura  influito, forse in chiave illuminata,  sulla cosiddetta diarchia politica,   messa probabilmente a rischio negli anni Cinquanta da un re giovane,  più dinamico e “democratico”,  come Umberto II. Senza dimenticare l’inevitabile processo di modernizzazione  sociale ed economica che, come per la Spagna, avrebbe abbracciato anche l’Italia, mutando costumi e abitudini.
Insomma, le masse, senza guerra, non avrebbero voltato le spalle al fascismo, almeno non subito, o comunque fino agli anni Sessanta, quando Mussolini, classe 1883, avrebbe avuto quasi ottant’anni.
Il popolo italiano  fu prima fascista poi  antifascista per non belle (eticamente belle...)  ragioni di quieto vivere. Tiepidamente.  Purtroppo,  l’uomo -  diciamo l’uomo medio -  alla libertà preferisce sempre la sicurezza. E del fascismo, ancora oggi, si ricordano le misure sociali, quasi con piacere, dimenticando - o facendo finta di dimenticare -  la grave perdita di libertà.   

Diciamo allora che il  25 aprile, se per i fascisti resta una brutta pagina e per gli antifascisti rappresenta giustamente il ritorno della libertà, per gli italiani,  sul piano della conoscenza collettiva, quindi di ciò che è trasmesso per generazioni, non  è   che lo specchio deformato di una cattiva coscienza, che assolvendo il fascismo, o comunque minimizzando,  prova ad assolvere se stessa. Specchio, insomma, dentro il quale l’italiano, come popolo,  non vuole guardare.  E di certo, non fino in fondo. 
Il che però spiega  l’inevitabile carattere elitario  che continua ad assumere  la  celebrazione del  25 aprile.
Purtroppo,  mai chiedere ai popoli ciò che non possono dare.  Sia come fascisti, sia come antifascisti.

Carlo Gambescia