Un editoriale del “Corriere della Sera”
Lo strabismo
del professor Salvati
Lo strabismo
del professor Salvati
Vi
invito a leggere l’editoriale di Michele Salvati, professore di economia, uscito ieri l'altro sul “Corriere della Sera” (*), perché è un classico esempio di strabismo economico-politico. Diciamo che il prof distorce, omettendone una parte, la realtà delle cose.
Al tempo. Salvati individua bene le cause della crisi italiana, giustamente legate all’incomprensione protezionista (in
senso sociale ed economico) di un
processo di liberalizzazione dei mercati, apertosi negli anni Ottanta del
Novecento. Processo irreversibile, che alla lunga accrescerà il benessere di
tutti.
Insomma, a suo avviso l’Italia, non avrebbe mai
fatto le famose riforme. Sicché, ora, a causa di una campagna elettorale, che vede tutti i partiti su
posizioni protezionistiche, si rischia di fare, puntando sulla “pancia degli
elettori”, un passo indietro e perdere per sempre il treno delle riforme.
Il
ragionamento fila. Tuttavia Salvati, che fa bene a prendersela con partiti
che non fanno da filtro politico-culturale alle imperversanti dinamiche populiste, nulla dice - ecco lo strabismo argomentativo - circa la natura
microscospica e assistenzialistica delle
imprese italiane. Che, nei fatti, non hanno mai
saputo cosa farsene del laissez
faire, laissez passer. Purtroppo.
Se
si ripercorre la storia economica d’Italia, a parte alcuni economisti-politici
(nel senso del doppio ruolo di economisti e ministri) come Cavour, Ferrara, Einaudi, Carli, forse Corbino, De Stefani e pochi altri, il
libero mercato non è mai stato molto amato. E non solo ad alto livello, ma anche sul piano giornalistico.
Per
fare solo un esempio, si prenda il “Sole
24 Ore”, quotidiano della Confindustria, tra l’altro semifallito e divoratore
di contributi pubblici indiretti (sgravi fiscali, eccetera), che dovrebbe difendere il libero mercato: sembra il bollettino del commercialista, vi si parla
solo di tasse e di come pagarle, di redistribuzione sociale e di finanziamenti
pubblici. Diciamola tutta: è un giornale semisocialista. Altro che il "Wall Street Journal"...
Certo,
è vero che negli anni Novanta, intorno alle privatizzazioni, e nel decennio
dopo, sull’euro, si aprì un dibattito politico sulla necessità di parlare al mondo e di
tagliare indebitamento e spesa pubblica. Risultato?
Qualche giorno fa si annunciava, coram populo, che il Monte dei Paschi "tornerà banca di
stato".
Qui
lo scandalo non è quello delle mai provate pressioni della “Ministra” Boschi
per salvare la banca paterna, ma di un sistema, che, invece di far fallire le banche, quando meritano, ne ripiana i conti in rosso. In teoria, si dice, per evitare un nuovo ’29, in
pratica, per accontentare tutti, banchieri e investitori, grandi e piccoli. E così non perdere voti.
Si
chiama capitalismo assistito. O se si preferisce individualismo protetto: dal grande industriale e banchiere al padrone dei capannoni fino all'avido pensionato che compra titoli ad alto rischio e vota Grillo. Pertanto è vero che i partiti non filtrano, ma è
altrettanto vero che mentalità e pratica del capitalismo italiano, anche nei cascami pulviscolari, sono di straordinaria arretratezza. Lo
stesso “Corriere della Sera”, che tra l’altro mai ha rifiutato i contributi pubblici
indiretti, affianca agli editoriali di Salvati interviste a imprenditori e banchieri che
sopravvivono grazie alla mano pubblica.
Concludendo,
se i politici non hanno idee, le imprese
non stanno messe meglio.