Fascisti, e non per caso
(a proposito dell’articolo di ieri)
(a proposito dell’articolo di ieri)
Alcuni
amici di destra - parlo di conversazione
private - mi hanno fatto notare che l' articolo di ieri, “Fascisti su Como” (*), farebbe il gioco di una “cultura
del politicamente corretto”, di sinistra, che sta montando un caso per ragioni
puramente elettorali.
Che
certa sinistra “ci marci”, come ho
scritto sempre ieri, credo sia indubitabile. Come ritengo sia innegabile che la destra post-fascista, in tutte le sue
componenti (prima il Msi, poi An, ora i suoi frammentati derivati), non ha mai fatto nulla per
superare la storica contraddizione, nei riguardi dell’eredità fascista, tra il vertice mussoliniano
e i militanti, ai vari livelli, dalle spiccate simpatie nazi-fasciste. Contraddizione, dimostratasi, politicamente involutiva.
Il
conservatorismo verso l’ideologia fascista, sia nei suoi aspetti di regime che
di movimento, per dirla con De Felice, ha sempre prevalso su tutto il
resto. Si trattava e tratta di una questione strutturale. Che va al di là delle qualità dei leader che si sono succeduti nel tempo. Non si è mai fascisti per caso.
Per fare solo un esempio: a qualche anno di distanza dalla fin troppo frettolosa Bad Godesberg nera di Fini, nel1995 a
Fiuggi, la stessa ala intellettuale, dei "fare-futuristi", che
appoggiava i contorcimenti politici del delfino di Almirante per affondare Berlusconi, si trovò a insistere, sfiorando il
ridicolo, sull’esistenza di un fascismo libertario. Confondendo quella che fu - ammesso e non concesso, eccetera - una variante politico-culturale, comunque
antidemocratica, quindi interna alla dittatura, con la tradizione liberale e della democrazia rappresentativa, antitetica al fascismo, come regime e come movimento. Quanto a
coloro che avevano rifiutato persino la cosiddetta svolta di Fiuggi, crediamo sia preferibile, anche perché non sono più tra noi, stendere un velo pietoso.
Per fare solo un esempio: a qualche anno di distanza dalla fin troppo frettolosa Bad Godesberg nera di Fini, nel
In realtà, Alleanza Nazionale non ha mai
voluto - o comunque potuto, sociologicamente potuto, il che però non deve suonare come un'assoluzione - fare i conti con l’eredità
fascista nei due aspetti del regime e
del movimento, rifiutando, nei fatti, di trasformarsi in un partito liberal-conservatore, magari con
le necessarie aperture verso il
capitalismo sociale di mercato, come sosteneva Giano Accame, l’unico
intellettuale di quel mondo, capace di vera autocritica e di resistere al rozzo richiamo della foresta.
Si
dirà: come abiurare però a un "patrimonio" ideologico ( "regimismo" + movimentismo), grazie al quale il Msi, in termini di strutture politiche, era vissuto di rendita fino a Tangentopoli? In effetti, sociologicamente parlando, il "fatto organizzativo" non poteva non fare il paio con il "fatto sicurezza", ossia con il gattopardesco bisogno di routine politico-amministrativa, routine, secondo alcuni, addirittura a sfondo carismatico, quale frutto di un'antica obbedienza sacramentale al duce-segretario di turno. Eppure, la potenziale base elettorale, una volta caduta la pentapartitocrazia, esisteva. E del resto, l’elettorato storico missino, ristretto e fluttuante (soprattutto ai suoi confini), era molto più conservatore e sistemico dei quadri del
partito, invece fascisteggianti e antisistemici. A dirla tutta, le simpatie mussoliniane dell'elettore missino come capita talvolta a teatro davanti alla deludente performance di un vecchio attore, erano applausi più di stima che sinceri.
Insomma, l'elettorato neofascista poteva evolvere. E' mancata invece, per ragioni strutturali, l'evoluzione della classe dirigente post-missina, incapace di uscire dalla casamatta - sintetizzando - del "credere, obbedire e combattere". Sicché l’iniziale consenso elettorale, che aveva portato An quasi a triplicare i voti, si è perduto lungo la strada, insieme all’occasione storica di dare vita a una destra democratica e sistemica. E cosa ne è stato dei partiti e partitini, proliferati dalla decomposizione della destra finiana, che si atteggiava a destra libertaria ma non liberale? Sono tornati all’ovile.
Insomma, l'elettorato neofascista poteva evolvere. E' mancata invece, per ragioni strutturali, l'evoluzione della classe dirigente post-missina, incapace di uscire dalla casamatta - sintetizzando - del "credere, obbedire e combattere". Sicché l’iniziale consenso elettorale, che aveva portato An quasi a triplicare i voti, si è perduto lungo la strada, insieme all’occasione storica di dare vita a una destra democratica e sistemica. E cosa ne è stato dei partiti e partitini, proliferati dalla decomposizione della destra finiana, che si atteggiava a destra libertaria ma non liberale? Sono tornati all’ovile.
Si
segua, ad esempio, il dibattito tra le varie fazioni, soprattutto quello politico-culturale su riviste e rivistine, sembra essere tornati agli anni Ottanta, il periodo più buio del Msi: quello della
ridotta almirantiana, del "Noi contro Loro" e della "Lotta al Sistema".
Pertanto nessuna meraviglia se si levano voci pronte a rivendicare, una volta dal lato regime, un'altra da quella del movimento, la purezza degli ideali fascisti, variamente interpretati, ma sempre all'interno dello steccato del politicamente corretto fascista. Voci, comunque sia, unite, come un sol uomo, nel difendere, con regolarità cronometrica, "quei poveri giovani la cui unica colpa è quella di amare l'Italia"...
Purtroppo, si tratta di un film già visto.
Pertanto nessuna meraviglia se si levano voci pronte a rivendicare, una volta dal lato regime, un'altra da quella del movimento, la purezza degli ideali fascisti, variamente interpretati, ma sempre all'interno dello steccato del politicamente corretto fascista. Voci, comunque sia, unite, come un sol uomo, nel difendere, con regolarità cronometrica, "quei poveri giovani la cui unica colpa è quella di amare l'Italia"...
Purtroppo, si tratta di un film già visto.
Carlo Gambescia
(*) http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.it/2017/12/nazi-fascisti-su-como-esiste-un.html