Che cos'è
il "politicamente corretto fascista" ?
il "politicamente corretto fascista" ?
I
lettori si saranno chiesti che cosa
esattamente intendessi dire ieri per “politicamente
corretto fascista”. Mi sembra perciò giusto completare il "trittico" (*), affrontando quest’ultimo nodo.
Piccola
premessa. Il politicamente corretto non
è un’ invenzione contemporanea delle “cattive” democrazie liberali, come
ritengono i complottisti, ma rinvia,
sociologicamente e storicamente, alle forme di legittimazione politica.
Ad
esempio, asserire in una società tradizionale che il potere non derivi da un
mandato meta-umano, significa entrare in urto con le autorità religiose,
sociali e politiche. Come del resto, affermare in una società moderna che il
potere non risieda nella sovranità del popolo, implica l’esclusione dal
dibattito pubblico. Ovviamente, dal
presupposto legittimante, discendono valori e comportamenti in sintonia con
esso. Sicché, chiunque provi a criticarli, adottandone altri, viene considerato, politicamente scorretto. E dunque ritenuto pericoloso. Dopo di che, ogni società,
secondo le proprie forme di controllo sociale, interverrà per ridurre al silenzio le voci discordanti. La casistica "operativa" è ampia: si
va dal boia al giudizio di dio, dall'imprigionamento nei gulag alla "spina staccata" (per dirla con un grande scrittore, esule russo).
Sono
meccanismi, dai più duri ai più blandi, che ritroviamo in ogni società e gruppo sociale, anche nelle forme politiche di gruppo istituzionalizzato. Si va, ripetiamo, dai princìpi fondamentali fino alle
opinioni e ai luoghi comuni più diffusi.
Nel post-fascismo ( nel senso di "dopo il fascismo storico") si possono individuare tre princìpi inderogabili del politicamente corretto. Chiunque li violi è fuori. Anche oggi.
1) Mussolinismo. Pensiamo alle dotte teorizzazioni dei professori dell'epoca sulla natura “cesarista” della leadership mussoliniana, che, in basso, si tramutavano a livello di senso comune nello slogan il “Duce a sempre ragione”. Il Mussolinismo resta tuttora un caposaldo del politicamente corretto post-fascista . Ancora oggi, guai a chiunque osi parlare male di Mussolini.
1) Mussolinismo. Pensiamo alle dotte teorizzazioni dei professori dell'epoca sulla natura “cesarista” della leadership mussoliniana, che, in basso, si tramutavano a livello di senso comune nello slogan il “Duce a sempre ragione”. Il Mussolinismo resta tuttora un caposaldo del politicamente corretto post-fascista . Ancora oggi, guai a chiunque osi parlare male di Mussolini.
2) Costruttivismo politico-economico. Pensiamo all’eredità della politica economica e sociale del fascismo, che in alto veniva teorizzata come economia corporativa e (nella fase terminale) socializzatrice, in basso recepita come
alternativa economico-sociale costruttivista al disordinato e presunto spontaneismo delle “democrazie plutocratiche”, secondo il noto stereotipo popolare. Anche qui siamo davanti a un caposaldo del politicamente corretto
post-fascista. Ancora oggi, guai a chiunque osi parlare bene del libero mercato.
3) Antisemitismo e razzismo. Pensiamo all' eredità politica delle leggi razziali del1938, eccellente esempio di esclusione dei presunti diversi, nonché, cosa ancora più grave, al l’antisemitismo che si prolunga in maniera devastante nell’ultimo fascismo, quello saloino. Parliamo di leggi che in alto venivano teorizzate dottamente e nelle forme più varie da legioni di scienziati, in basso recepite, fin nei comportamenti (dall'ultimo commerciante che vendeva solo agli "ariani"), come necessario pendant “anti-giudeo” alla “ lotta contro le democratiche plutocratiche”. Va precisato, come prova l’
eccellente libro di Gianni Scipione Rossi (**), che il post-fascismo, soprattutto i vertici del Msi e di Alleanza Nazionale, si sono in qualche
misura distanziati, condannando le leggi razziali, e schierandosi, negli anni Sessanta più decisamente, dalla
parte di Israele. Però, tuttora, resta obiettivamente difficile, in particolare tra i militanti, affrontare la questione: il politicamente corretto di derivazione fascista “impone
l’uso” di un antisionismo che però,
come mostrano studi e ricerche, è parente strettissimo dell’antisemitismo. Insomma, ancora oggi, non si può parlare bene - in senso assoluto - degli ebrei. E a maggior ragione - per rimbalzo ideologico - dei diversi, a cominciare dai non italiani. Si pensi all'avversione viscerale, decisamente sopra le righe, alla legge sullo ius soli. Di qui, il pericolo incombente del razzismo di ritorno.
3) Antisemitismo e razzismo. Pensiamo all' eredità politica delle leggi razziali del
Riassumendo,
il politicamente corretto fascista, prolungatosi nel post-fascismo, impone che tutte le discussioni
interne, a livello di militanti, quindi di senso comune, ruotino intorno alle questioni del
mussolinismo, del costruttivismo (corporativo o sociale), dell’antisemitismo (travestito da
antisionismo). Si possono criticare i
consiglieri di cui si servì Mussolini, magari discutere
sui nomi dei " traditori badogliani" (altro sterotipo, usato anche per Fini...); ci si può dividere in corporativisti e socializzatori o
in antisemiti e antisionisti. Ma, al
fondo, i nodi, i veri nodi, non sono mai stati sciolti.
Qualcuno si chiederà: ma, allora, cosa è cambiato
in quel mondo? Niente.
Carlo Gambescia
(*) Il primo articolo sul "post-fascismo" è apparso venerdì 1 dicembre: http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.it/2017/12/nazi-fascisti-su-como-esiste-un.html ;
il secondo ieri, 2 dicembre: http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.it/2017/12/a-proposito-dellarticolo-di-ieri.html .
(**) Gianni S. Rossi, La destra e gli ebrei. Un storia italiana, Rubbettino Editore 2003.