Il 51° Rapporto Censis
Cattiva sociologia
Cattiva sociologia
Non
crediamo nella sociografia, almeno non del tutto. I dati quantitativi occorrono al sociologo,
dunque alla sociologia, che è però, dal punto di vista disciplinare, non può essere ridotta al balletto politico su cifre, frutto di concetti operativi che riflettono ipotesi teoriche, che, a loro
volta, rinviano a visioni del mondo.
Semplificando, per un sociologo
socialista, il cui pensiero ricorrente è quello di eliminare la
povertà, addossando ovviamente ogni colpa alla società, il bicchiere delle statistiche in materia sarà
sempre mezzo vuoto, per un sociologo conservatore, che invece ritiene ineliminabile la povertà, perché frutto di carenze individuali, il
bicchiere sarà sempre mezzo pieno.
Pertanto al lettore, digiuno di queste cose, va ricordato che i dati annuali del Censis, snocciolati dai mass media come oro colato, discendono da un impianto ideologico di tipo welfarista: l’intera impostazione
del Rapporto privilegia il nesso tra ricerca sociale e politiche pubbliche, come se sociologo e sociologia fossero al servizio, per così dire, del ministero
dell’assistenza sociale. Lo sguardo del Censis sulla realtà sociale, non è al di sopra delle parti, ma di tipo solidarista. Non è una colpa, per carità, ma al vecchio Max Weber, che aveva una fissa per la corretta metodologia, non sarebbe capitato. O comunque, il grande sociologo tedesco, senza nascondersi dietro i neologismi, avrebbe subito dichiarato, chiaro e tondo, come la pensava. Dalle parti di Heidelberg, la chiamano Wertfrei.
Facciamo subito un esempio tratto
dal 51° Rapporto, uscito pochi giorni fa, dove si afferma che
“l'onda di sfiducia che ha investito la politica e le istituzioni non perdona nessuno: l'84% degli italiani non ha fiducia nei partiti politici, il 78% nel Governo, il 76% nel Parlamento, il 70% nelle istituzioni locali, Regioni e Comuni. Il 60% è insoddisfatto di come funziona la democrazia nel nostro Paese, il 64% è convinto che la voce del cittadino non conti nulla, il 75% giudica negativamente la fornitura dei servizi pubblici. Non sorprende che i gruppi sociali più destrutturati dalla crisi, dalla rivoluzione tecnologica e dai processi della globalizzazione siano anche i più sensibili alle sirene del populismo e del sovranismo. L'astioso impoverimento del linguaggio rivela non solo il rigetto del ceto dirigente, ma anche la richiesta di attenzione da parte di soggetti che si sentono esclusi dalla dialettica socio-politica”.
Dopo di che quando però si
va a leggere quali sono i desiderata dei soggetti “che si sentono esclusi dalla
dialettica socio-politica”, si scopre che il loro “l'immaginario collettivo", che per il
Censis dovrebbe normativamente rimandare alla definizione di " un'agenda
sociale condivisa”, rinvia invece alle
nuove icone della contemporaneità. Nella
mappa del nuovo immaginario i social network si posizionano al primo posto
(32,7%), poi resiste il mito del «posto fisso» (29,9%), però seguito a breve
dallo smartphone (26,9%), dalla cura del corpo (i tatuaggi e la chirurgia
estetica: 23,1%) e dal selfie (21,6%), prima della casa di proprietà (17,9%),
del buon titolo di studio come strumento per accedere ai processi di ascesa
sociale (14,9%) e dell'automobile nuova come oggetto del desiderio (7,4%).
Nella composizione del nuovo immaginario collettivo il cinema è meno influente
di un tempo (appena il 2,1% delle indicazioni) rispetto al ruolo egemonico
conquistato dai social network (27,1%) e più in generale da internet (26,6%)”.
Di conseguenza, la
sfiducia verso partiti, parlamenti, governi, istituzioni rimanda all’atteggiamento, non di
una specie di sottoproletariato tecnologico, sul quale favoleggia il neoromanticismo socialistoide recepito dai professori welfaristi del Censis, bensì alla pseudo-rivolta
di coloro che egoisticamente vogliono
conservare i privilegi del passato ( a partire da posto fisso) senza
rinunciare alle conquiste del presente (smartphone, selfie e cure estetiche). Il
che non è possibile. Di qui, i capricci antipolitici, verso una politica, che in realtà è fin troppo arrendevole.
Insomma, il famigerato bicchiere, non è mezzo pieno né mezzo vuoto. E' così. "L'agenda sociale condivisa" è solo nella testa dei sociologi welfaristi, ammaliati dal costruttivismo sociale. La società aperta, a differenza di quella chiusa, si fonda, per dirla con Schumpeter, sulla distruzione creatrice, perciò il conflitto tra chi resta indietro e chi vuole andare avanti, per dirla dottamente, ne è parte consustanziale. Piaccia o meno, non si può eliminare. Detto altrimenti: fa parte del "pacchetto-modernità". O così o pomì.
Per contro, il Censis, invece di “spiegare
al popolo” la necessità, se veramente si vuole la modernità ("contemporanea" o meno), di viverla fino in fondo, accettandone pro e contro, ha scelto la
strada del protezionismo sociale ( dell' "agenda condivisa" calata dall'alto"), sicché blandisce e asseconda, piangendo bollenti lacrime su chi già si piange addosso, però con un occhio solo.
Si chiama cattiva sociologia.
Carlo Gambescia