"Giustizialismo storiografico"
Croce dove sei?
La
preparazione di un nuovo libro mi ha imposto la lettura e rilettura delle più
significative storie della Repubblica italiana (diciamo Prima e Seconda). E cosa ho scoperto? Che non ce n’é una che parli positivamente dei
progressi fatti, sotto l’aspetto civile,
economico e politico, dal 1945
ai nostri giorni.
Civile,
perché l’Italia di oggi è più inclusiva di quella degli anni
Quaranta. Economica, perché il tenore di
vita non è quello del 1950.
Politica, perché, rispetto a
quando riacquistammo la libertà, oggi l' "aria" ne è così satura che
neppure ci si rende conto di quanto si sia liberi.
Eppure
tutto questo nelle varie storie della Repubblica, con rarissime eccezioni, non
si trova. La formula argomentativa più usata è: "Sì va bene, ma...". Si parla di sviluppo e
crescita incontrollata, come se, di regola,
fosse possibile padroneggiare i
grandi processi storici. Si sottolinea,
l’esistenza di un doppio stato che avrebbe ostacolato il progresso della
democrazia, dimenticando che dal 1945 ad
oggi, si è scritto e pubblicato di
tutto. Si colpevolizza il familismo
degli italiani, che in verità è sempre esistito, enfatizzandone gli aspetti
negativi, rispetto a una cultura civica
che, pure è cresciuta, e che invece ci
si ostina a giudicare sempre un passo indietro.
Insomma,
gli storici invece di contestualizzare ciò che stato, ne tracciano, come giudici codice alla mano, la
distanza rispetto a ciò che doveva essere
dal punto di vista della norma. Un normativismo che riflette le scelte
ideologiche. Pertanto lo storico conservatore
criticherà l’egemonia intellettuale della sinistra e i cedimenti democristiani, lo storico marxista, oltre al
malgoverno della Balena Bianca, l’assenza di grandi riforme in senso
socialista. Per contro lo storico cattolico - conservatore o progressista che sia - il disordinato ed eccessivo sviluppo capitalistico.
Su
queste impostazioni ideologiche, rispetto "alla norma", si sono
scritte anche le cosiddette storie della Seconda Repubblica, moltiplicando i (presunti) cattivi risultati della Prima, per i pessimi (anch’essi presunti) della Seconda. Alla quale, la maggioranza degli storici, ha chiesto - ecco
il punto - di realizzare ciò che doveva
realizzare la Prima. Quindi
modello ideale per modello ideale, una tragedia storiografica: una specie di "contro-storia della Repubblica al quadrato", dalle gravi conseguenze.
Diciamo
che si è avvertita la mancanza di un grande storico come Benedetto
Croce. O meglio di un’ opera fondamentale come la sua Storia d’
Italia dal 1871 al 1915, scritta
durante il fascismo: un esempio di fierezza storiografica, verso il cammino percorso, nonché di
onesta ricostruzione dei fatti, una
contestualizzazione, assente nella storiografia repubblicana. Insomma, l'esatto contrario del successivo normativismo storiografico.
Si
dirà: Croce, tuttavia, si fermò al 1915 (come un altro grande storico, ma filofascista, Gioacchino Volpe), rifiutandosi di spiegare le cause
del fascismo, da lui ricondotto a temporanea parentesi, una specie di malattia morale. Giusto. Però
il grande filosofo morì
nel 1952, convinto che l’Italia, superata la malattia, era entrata in convalescenza.
E che presto sarebbe guarita. Così è
stato.
Di
questo vero progresso gli
storici repubblicani - conservatori, cattolici, progressisti - non se ne sono accorti. Per quale ragione?
Probabilmente, come detto, perché si ostinavano e ostinano a vedere nello stato fascista la continuazione dello stato liberale e nello stato repubblicano la continuazione di quello fascista. Croce la chiamava storiografia di tendenza: in termini più moderni si potrebbe definire storiografia contro il nemico interno. Sul quale Croce, saggiamente, con un colpo di "parentesi", aveva invece sospeso il giudizio.
Di qui però, un gioco al rialzo che ha trasformato il giudizio storico, in politico e infine giudiziario. C'è un nemico da criminalizzare, processare, condannare e imprigionare. Con effetti che sono sotto gli occhi di tutti.
Di qui però, un gioco al rialzo che ha trasformato il giudizio storico, in politico e infine giudiziario. C'è un nemico da criminalizzare, processare, condannare e imprigionare. Con effetti che sono sotto gli occhi di tutti.
Carlo Gambescia