venerdì 8 dicembre 2017

La Prima della Scala 
André Chénier, 
una  vittima del totalitarismo



Non sono un melomane, né un conoscitore della storia dell’opera lirica italiana. Del costume politico e giornalistico italiano, però sì:  un misto di ignoranza storica, furberia e cinismo.  Vengo al punto.
Ieri sera, Prima della Scala, direzione di Riccardo Chailly (non sapremmo), regia di Mario Martone (noto caciarone gramsciano delle storie patrie),  grande successo, così scrivono i giornali, c’era questo, non c’era quello, eccetera, eccetera.
Si rappresentava  l’ “Andrea Chénier” di Umberto Giordano, libretto di Luigi Illica. La  prima assoluta risale al 1896, in un’ Europa  ancora sotto  l’ effetto devastante   della “Comune” parigina:  replica 1871,  truculenta e socialistoide, del Terrore 1793-1794.
Giordano  e  Illica -   esponenti, ci dicono,  del Verismo musicale -  romanzano musicalmente un tragico frammento della vita di Andrea (André) Chénier,  poeta, politicamente  un   Fogliante, dal nome del convento  cistercense, dove  vide luce (breve luce) l’ associazione politica,  moderata, costituzionale e  fedele alla monarchia.  Quindi detestata e cancellata  dai Giacobini. 
Chénier, che aveva osato brindare poeticamente, all’uccisione di uno psicopatico come Marat,  finì sul patibolo. A Robespierre non dispiacque più di tanto: a chi  chiese conto delle morte di un poeta (mai pubblicato in vita però), l’Incorruttibile  rispose che "anche Platone metteva a morte i poeti", perciò figurarsi lui…
Ora,   su tutta questa storia,  politicamente parlando ( e sottolineo politicamente),  invito i lettori a ritrovare qualcosa sui giornali di questi giorni.  I grandi editorialisti? Silenzio assordante. Sembra però sia uscita sull'opera una pubblicazione a fumetti…  Quando si dice le soddisfazioni della vita. 
Chénier è una delle tante vittime del Giacobinismo, di quella micidiale  corrente politica, nata all’interno della Rivoluzione Francese, tutta Comitato di Salute Pubblica e Ghigliottina, che intellettualmente è alle origini dei totalitarismi plebiscitari del Novecento.   
Un pugno di invasati, evergreen, che  nella  Comune di Parigi, amata e odiata da borghesi come Giordano e Illica,  scorgerà  una  replica della Rivoluzione Francese. E  che poi  ritroveremo, come supremi interpreti della volontà della nazione, della razza e del proletariato. L’itinerario non è poi così complicato; da Rousseau a  Robespierre e Blanqui;  da Marx a  Lenin e Stalin e,  di rimbalzo,  da Mussolini a Hitler. I contrari, ma simili nella  totalitaria essenza costruttivista,  non potevano non incontrarsi, anche confliggendo, perché unitamente  avversi alla democrazia liberale.           
Sulla tragedia di Chénier  si poteva imbastire un discorso politico.  Proprio  sulla forza eversiva di quelle  correnti politiche ultramoraliste intellettualmente totalitarie, come i populismi (di destra e sinistra),  che sulla scia di Robespierre & Co.,  “inzeppano la politica”  di magistrati che - bontà loro - si ritengono novelli Saint-Just.   
E invece silenzio totale. Anzi, questa mattina, tutti ad applaudire la Rivoluzione.  E  Chénier? Moderato per caso… La Ghigliottina? Ha interrotto "un bel sogno d'amor"...
Ignoranti, furbi, cinici. E pure scemi. Perché?  Se ne riparlerà  a marzo.

Carlo Gambescia