Il capitalismo secondo Mario Ajello...
Un compagnuccio della parrocchietta
Certe
stupidaggini, seppure colte al volo, rovinano la barba mattutina… E pure la giornata. In che
senso? Che mentre ci si sta radendo si ascolta una cosa così (più o meno
testuale): “Eh sì, questi lavori post-moderni, da Ikea e Amazon,
ricordano, per le condizioni in cui si svolgono, quelle dei
lavoratori della rivoluzione industriale
ottocentesca”. E tac, ci si taglia…
Chi dice queste fregnacce (pardon)? O le riferisce, annuendo seriosamente? Mario Ajello del “Messaggero” a Prima Pagina su Rai Radio Tre. Non
parliamo di un giornalista del “Manifesto”
o di qualche foglio dell’estrema destra
anticapitalista, bensì di un “editorialista di punta” del quotidiano di Francesco Gaetano Caltagirone: quanto di più governativo o
quasi (a parte i regolamenti di conti tra costruttori…), esista, eventualmente,
su piazza: tipo Andreotti è vivo e lotta
insieme a noi.
Diciamo
che Ajello rientra perfettamente nella
fenomenologia luogocomunista del
giornalismo italiano: un mix di luoghi comuni, negativi of course, sul capitalismo, nemmeno di ascendenza comunista, perché “Loro” studiavano”. Ajello
no, o almeno non più.
Offendiamo?
Neppure tanto. Dal momento che chiunque abbia letto, o anche solo sfogliato, il famoso saggio di Engels sulla situazione della classe operaia inglese, anno
di grazia 1845, dovrebbe evitare, e
accuratamente, di dire stupidaggini.
Che
cazzo c’entra (pardon) il lavoro minorile negli stabilimenti Wood a Bradford, anno domini 1842, con i giudici del lavoro italiani, anno di
grazia 2017, che nel 95 per cento dei
casi sentenziano a favore dei dipendenti ? Che c’entrano le fumose fabbriche di Manchester con gli ariosi magazzini Ikea?
Eppure
Ajello, come per riflesso condizionato, appena suona il campanello-capitalismo, comincia a salivare. Proprio come papa Bergoglio. E spara fregnacce (di nuovo, pardon). Altro che politicamente scorretto...
Ajello non
è un compagno - se fosse così, lo scuseremmo (o quasi). Diciamo che è un compagnuccio della parrocchietta.
Carlo Gambescia