martedì 28 novembre 2017

Fake news
Abbassare i toni, no?




In linea di principio  non esistono  fake news,  esistono  rappresentazioni "mediatiche" delle notizie, rappresentazioni che rinviano a interpretazioni dettate da pre-assunti conoscitivi ideologici e materiali. Semplificando, da pre-giudizi:  dalle idee politiche alle simpatie umane,  dagli interessi economici  ai sociali, eccetera, eccetera.
Si dirà, tra pregiudizi e false  notizie  costruite a tavolino c'è comunque una differenza. Certamente. Tuttavia  la classica  distinzione tra fatti e notizie, spesso giustamente evocata,   rinvia  a una visione etica del  giornalismo, al dover essere delle cose non  al come sono, e perciò sta ai giornali, purtroppo,  come i dieci comandamenti stanno alla società.
Ciò però non significa che sia una distinzione inutile. L’esistenza di  un’idea regolativa (del giornalismo), trasposta in  norme giuridiche e morali,  e la presenza  di un gruppo sociale (i giornalisti)  che se ne fa interprete e garante, sono  due  fenomeni  comuni  a ogni sfera sfociale, dalla politica all'economia, dalla religione alla cultura:  società, istituzioni,  gruppi  si auto-organizzano,   per ragioni funzionali e così garantire un'ordinata (o quasi) prassi sociale.  Regole e organizzazioni mitigano i conflitti. Che comunque non possono essere espunti con colpo di bacchetta magica. Diciamo che è una questione di misura:  di intensità del conflitto che, seguendo le regole dell' escalation,  rischia sempre di  trasformare il pregiudizio, che esiste socialmente a prescindere,  in costruzione e diffusione di false notizie per danneggiare  un avversario tramutato in nemico, talvolta assoluto.  
Sotto quest'ultimo aspetto, il fenomeno delle  fake news, non è nuovo. Chi conosce la storia del giornalismo, sa benissimo  come sia costellata di episodi che illustrano  i tentativi di danneggiare gli avversari politici.   Le false notizie, secondo un celebre studio di Marc Bloch, storico francese, toccano il punto  massimo, nei periodi di alta conflittualità, come le guerre.  
Qual è allora la differenza tra le "classica"  falsa notizia  e le "moderne"  fake news?  Crediamo sia principalmente dettata da tre fattori: 1) il ritorno di una conflittualità politico-sociale, che assomiglia molto a quella bellica; 2) la potenza delle nuove tecnologie mediatiche, che azzera ( o quasi), sul piano veicolare,  ogni distanza tra  gruppi professionali e  il resto della società; 3) il pericoloso dilatarsi, per le ragioni tecnologiche al punto due,  di una credulità di una massa che ha  radici  nel comportamento sociale dell’uomo, contraddistinto, soprattutto a livello di grandi collettività emulative, più  dal credere che dal capire
Esistono rimedi?  Probabilmente, se la politica, che di norma,  e per fortuna,  è fatta da pochi, e che quindi dovrebbe trarre alimento più dal capire che dal credere,  si ponesse il problema di  ridurre i livelli di conflittualità, il “valore”  polemico  delle fake news diminuirebbe immediatamente.  
Invece, oggi,  siamo al punto, che, spesso, le false notizie sono usate, e largamente,  da quella stessa politica,  che dovrebbe “capire”, e perciò tenersi alla larga dalle bufale. Che, mai dimenticarlo, sono armi a doppio taglio: perché le fake news rischiano di  minare insieme  alla credibilità  del diretto avversario politico il buon nome del sistema politico stesso.  Sicché,  il “vincitore”  al gioco "del chi le spari più grosse",  rischia  alla fine di  ritrovarsi  sprofondato tra le macerie…   
Non crediamo però che i divieti possano funzionare.  Anzi su di essi,   i  “facitori”  di fake,  per effetto di trascinamento mediatico,   costruirebbero   subito  la  “falsa notizia” di un "complotto del sistema" contro la libertà,  che rimbalzando da un lato all’altro dell’etere,  minerebbe la residua credibilità delle istituzioni liberali, che sono alla base della libertà di stampa e di opinione.  E perciò anche di quella  del cretino complottista. 

Carlo Gambescia                    

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