Il libro della settimana: Alessandro
Monchietto e Giacomo Pezzano (a cura di), Invito
allo straniamento: I. Costanzo Preve filosofo, Editrice Petite Plaisance,
Pistoia 2014, pp. 176, Euro 15,00.
Invito allo straniamento: I. Costanzo
Preve filosofo, Editrice Petite Plaisance, curato da Alessandro
Monchietto e Giacomo Pezzano va oltre
l’opera di circostanza. Tra l'altro, si tratta di un volume pensato e scritto per celebrare
i settant’anni di Preve e che purtroppo è uscito
pochi giorni dopo la sua morte.
Come è noto, la filosofia, la vera filosofia si nutre di risvolti esistenziale e talvolta tragici. Si pensi alla prigionia e morte di Socrate, al rogo di Bruno, alla follia di Nietzsche, all’esecuzione di
Gentile. E Preve? Il filosofo torinese, come scrivono
Monchietto e Pezzano, pagherà con «il
silenziamento», prima la sua presa di
distanza da ogni “ismo”, soprattutto a partire dagli anni Novanta del
secolo scorso, poi la conseguente
scelta di combattere « sempre come franco tiratore indipendente, seguendo la
propria strada - in solitudine e coerenza - con grande determinazione e
coraggio personale» (p. 12). Conducendo, ci permettiamo di aggiungere, un’ esistenza socratica, distinta - così lo ricordiamo - da una
sobrietà , persino asciuttezza di modi, che gli veniva naturale. Per inciso, vividissimo, il ritratto
di Preve, tracciato dai curatori: « I
lampeggianti occhi castani, il capo canuto, il contrasto tra il suo fisico e la
profonda intelligenza contribuivano insieme con il brio della sua
conversazione, a dare di lui un’impressione indelebile» (p. 13).
Intanto
perché «straniamento»? Non dal reale, ma necessariamente dall’apologia del reale come unico esistente possibile. Di qui, secondo i curatori, l’inveramento (per
usare un termine, anche, delnociano) da parte di Preve, di alcuni pur notevoli
pensatori suoi contemporanei: « Troviamo,
rispetto a Virno, un deciso riferimento filosofico ai Greci, riferimento
che àncora la sua proposta a un solido orizzonte fondativo e impedisce
l’entusiasmo “postmoderno” per il concetto di moltitudine; rispetto a Nancy una
profonda consapevolezza delle implicazioni geopolitiche e socio-economiche del
superamento dell’organicità in direzione del sovra-nazionalismo; rispetto a
Žižek uno straordinario tentativo di rileggere e interpretare l’intera storia
del pensiero occidentale, e non solo, tramite il metodo della deduzione
genetico-sociale; rispetto ad Esposito l’esigenza di pensare la comunità “concretamente”
riferendosi al ruolo dissolutivo esercitato dalla crematistica e concepire la
storia come processo fondato sulle
potenzialità ontologiche dell’essere umano pur in mancanza di un origine e di un fine precostituiti» (p. 18).
Veniamo,
ora, ai singoli interventi.
Stefano
Sissa scorge in Preve il filosofo
politico per eccellenza, «in quanto per
lui la verità filosofica è un
sempre prodotto non arbitrario
però, della vita associata» (p. 31). Inoltre,
Preve è un «conservatore comunista, ossia […] un comunista comunitarista. Comunista
perché si oppone al capitalismo […], comunitarista [perché] è per la conservazione dei legami preventivi del tessuto sociale, per il radicamento anche
territoriale […] per i codici di dignità
e onore che il mondo della tradizione custodiva: tutti fattori senza i
quali ogni argine allo tsunami
capitalistico diviene impensabile» (p. 38, i corsivi sono nel testo).
Giacomo Pezzano, autore di un eccellente
excursus sulle radici classiche della teoresi previana, sottolinea
« che nella prospettiva di Preve siamo tutti greci nel senso
che la natura umana che ci caratterizza è proprio quella che la
riflessione antica ha saputo cogliere e definire in maniera mirabile e che - con “l’aggiunta” moderno-idealista della
storia come teatro dell’acquisizione progressiva da parte dell’intera umanità
dall’autoconsapevolezza - rappresenta l’unico vero baluardo, oggi come ieri,
per contrastare la crematistica (il capitalismo), denunciando l’alienazione cui
sottopone la “vera essenza umana”, che è creatrice e “generica” (Gattungswesen) rinchiudendola “nella sola dimensione
unilaterale della riproduzione capitalistica» (pp. 64-65, i corsivi sono nel testo).
Alessandro Volpe e Piotr Zygulski, autori di una
densa disamina del concetto previano di verità, ritengono che
per il filosofo torinese « la concretizzazione non può che avvenire storicamente: la verità - la natura
umana, l’anima umana – non può essere collocata su un piano sottratto allo
scorrere del tempo, altrimenti si presenterebbe
eterna, immutabile e
“rispecchiabile” geometricamente». Cosicché « proprio in merito a questo punto
è possibile rintracciare lo spirito intimamente “hegeliano” della concezione di verità di Preve. Se,
infatti, l’intera filosofia di Hegel può essere sintetizzata nella nota formula secondo cui il “ vero è l’intero” e questo “è soltanto l’essenza che si completa
mediante il suo proprio sviluppo”, essa esprime anche il nodo fondamentale
della proposta filosofica intrapresa da Preve: il ritorno a un’idea di totalità
anche attraverso “un buon uso dell’Universalismo”, che tenga in considerazione
la dialetticità dei rapporti sociali e
dei fattori storici » (p. 78).
Dobbiamo
invece a Diego Fusaro una tecnicamente impeccabile puntualizzazione dell’approccio previano,
quale « deduzione sociale delle categorie del pensiero […], espressione mutuata
da Alfred Sohn-Rethel» con la quale
Preve « allude al fatto che i pensieri, le idee e, più in generale, il piano
del simbolico deve geneticamente essere spiegato a partire dalla strutturazione
storica della società anziché essere
dedotto dai cieli della mera
speculazione astratta» (p. 80). Saremmo così davanti a una sorta di geniale riequilibro tra «genesi e validità» delle
idee che, a detta di Fusaro, sembra discendere in Preve da un «idealismo
comunitario ispirato a Fichte, Hegel e Marx, oltre che naturalmente alla saggezza greca» (p. 95).
Andrea
Bulgarelli si sofferma acutamente
sull’interpretazione previana della contemporaneità passando in rassegna alcune questione concettuali sollevate dal
filosofo (comunismo storico novecentesco,
capitalismo assoluto, categorie di destra e sinistra, questioni geopolitiche, etica della resistenza e comunismo comunitario, solo per
ricordarne alcune). Bulgarelli
preconizza « che se mai potrà
nascere una cultura altra rispetto
a quella attuale, il pensiero di Costanzo Preve vi giocherà un ruolo, e
che l’etica della resistenza potrà essere affiancata da un’etica alternativa al
dominio della forma merce» (p. 115, il corsivo è nel testo).
Ammirevole
lo sforzo di Giacomo Pezzano rivolto
a condensare in poco più di una trentina di pagine
le cinquecento di Una
nuova storia alternativa della filosofia. Il cammmino Ontologico-sociale della
filosofia ( Petite Plaisance 2013), magnum opus di Preve. Tra l’altro Pezzano trova spazio e tempo anche per battagliare con Locke e dialogare con Hegel. «Possiamo dire senza
timore - osserva nelle conclusioni,
citando da M. Mazzeo, Melanconia e
rivoluzione (Editori Internazionali Riuniti 2012) - che il pensiero previano intimamente
antiadattivo, spinge proprio “alla ricerca non solo di una descrizione del
mondo ma anche del suo cambiamento”,
a riconoscere che “ogni cosa è ciò che è, senza però arrendersi all’idea che
non possa esser trasformata in un’altra
cosa”» (p. 149, i corsivi sono nel testo).
Gli
fa eco, Luca Grecchi, nella Postfazione,
dove dopo aver ripercorso la storia del suo decennale rapporto intellettuale e umano con Preve, giustamente
mostra di confidare nel fatto «che il tempo possa essere
galantuomo nei confronti di Preve» perché siamo dinanzi a un pensatore, che a
differenza di altri filosofi contemporanei dediti al bricolage teoretico, si è fatto
portatore di un discorso « carico
di senso e di valore» (pp. 158-159)..
Ora, alcune riflessioni finali.
In
primo luogo, ricordiamo che a questo volume ne seguirà un altro dedicato alla
ricostruzione del rapporto fra
Preve Marx e il marxismo:
aspetto non secondario, quello marxiano,
quantitativamente importante in relazione al ruolo giocato dal
filosofo di Treviri, visto che fino al 2002, come osserva Grecchi
«la quota maggioritaria dell’opera di Preve era stata indirizzata alla
interpretazione di Marx» (p. 154).
In
secondo luogo, Invito allo straniamento non forza mai il pensiero filosofico
previano, restituendolo ai lettori
nella sua ricchezza e complessità.
Senza ignorare quella tensione, insita nell'opera di Preve, tra le cose come sono e come
invece dovrebbero essere, fattasi nel
tempo sempre più stringente.
Perciò
non ci spieghiamo - in
terzo luogo - la sottovalutazione di alcune questioni, forse di sottotesto ma comunque
presenti nell’opera di Preve (probabilmente, degli anni Duemila). Pensiamo in particolare al tema della decadenza e al problema dell’ordine sociale, problemi
che Preve, pur rifiutando la
ciclicità del divenire storico e sociale, in qualche misura avvertiva. E che
ritroviamo, seppure fra le righe, in alcuni libri: L'ideocrazia
imperiale americana (2004), Dove va
la destra? Dove va la sinistra? (2004), Filosofia
del presente (2004), Del buon uso dell’Universalismo
(2005), Dove va la sinistra Il
paradosso de Benoist (2006), Hegel antiutilitarista (2007). Ma su questi aspetti rinviamo alla nostra Introduzione a Del buon uso dell’Universalismo ( nostro
titolo, generosamente accettato da Preve, in una tiepida serata romana, seduti ai tavoli all'aperto di una trattoria, sullo sfondo protettivo di Castel Sant’Angelo).
In
quarto luogo, la questione dell’utilitarismo: ricorrente argomento di conversazione nei nostri
incontri. E di divisione. Perché, chi scrive, riteneva e ritiene troppo appiattita, nonostante il recupero
della crematistica aristotelica in chiave anticapitalista e procomunitarista, la
posizione di Preve sul presunto antiutilitarismo di Marx ( tema sul quale, da
buon lettore di Louis Dumont, avevo chiesto provocatoriamente a Preve un
saggio per “Contra”, mai scritto purtroppo e che sicuramente, sospettiamo, sarebbe ruotato intorno all'idea di Gattungswesen ). Probabilmente, una ridefinzione dell’utilitarismo da
appendice della anti-crematistica, ricostruita secondo una linea aristotelico-hegeliana-marxiana, a
mentalità socioculturale trans-storica (in senso sorokiniano) dalle diverse sfaccettature (idealistica, passiva, cinica, pseudo-ideazionale) avrebbe costretto Preve a una riorganizzazione del suo pensiero, analiticamente basato
sull'uso di categorie concettuale storicamente determinate, e non su categorie metapolitiche, nel senso di costanti storicamente ricorrenti.
Il che apre - in quinto luogo - una questione fondamentale: quella della riduzione di tutto il liberalismo ad appendice dell'utilitarismo e del capitalismo (quindi appendice due volte...). Scelta che implica il rischio di ridurre un fenomeno storico, altrettanto complesso come il marxismo, a pura e semplice caricatura. Certo, comprendiamo benissimo che il discorso previano, metodologicamente, si muove sul piano del rapporto tra categorie logiche e strutture sociali. E quindi a un livello teoreticamente molto alto: ontologico-sociale per l'appunto. Ma riflettiamo pure sui guasti provocati da libri come La Distruzione della ragione di Lukács, testo che mette bene in luce, purtroppo, la grande distanza, rispetto a un sociologo-filosofo della statura di Simmel, che separa il Lukács giovane da quello maturo (ma questa è un'altra storia... tra l'altro l'influenza di Simmel sul giovane Lukács, in termini di ontologia della dicotomia forma/contenuto era un altro degli argomenti di conversazione, sfociato in una promessa da parte di Preve di approfondimento...). Quindi, riassumendo, perché ignorare, sul piano sociologico il liberalismo politico antieconomicista di autori - solo per fare qualche nome - come Tocqueville, Mosca, Ferrero, Croce Weber, Ortega y Gasset, de Jouvenel, Aron, Berlin, Schumpeter, Freund?
Infine, in sesto e ultimo luogo, andrebbe approfondito - e qui ci ricolleghiamo alle questioni dell'ordine e della decadenza - il realismo politico che sembra segnare il pensiero previano. Certo si tratta di un realismo sempre tragicamente in tensione con il dover essere dell'idea. Si pensi però alla questione della "resistenza" al capitalismo assoluto, di terza generazione, basata su un assioma realista: il nemico del mio nemico e mio amico. Inoltre, si consideri anche la sua prudenza verso le forme di democrazia diretta, frutto maturo - crediamo - della consapevolezza, tutta politica, di Preve verso l'inevitabilità della stratificazione sociale e istituzionale. Ovviamente, le nostre sono pure e semplici ipotesi di lavoro che provengono da un umile sociologo digiuno di filosofia e forse troppo affamato di classificazioni.
In
conclusione, un bel libro, scritto con scienza, amore e passione. Il che, di
questi tempi, può fare certamente bene alla testa e all’anima dei lettori.
Carlo Gambescia