martedì 16 maggio 2023

L’invasione russa dell’ Ucraina e il ruolo degli intellettuali

 


Parlare del ruolo degli intellettuali è complicato, perché la figura stessa dell’ intellettuale presenta non pochi problemi, non solo definitori. Soprattutto sotto l'aspetto sociologico.

Il ruolo è qualcosa che viene attribuito socialmente, insieme allo status. Per capirsi: sei questo (status), allora devi fare questo (ruolo). Ad esempio sei un generale (status), allora combatti (ruolo), sei un insegnante, allora insegna, sei uno spazzino, allora, eccetera, eccetera.

Si può parlare dello status e del ruolo di un intellettuale? Di fatto non esistono. Come dicono i dizionari il termine è usato più come aggettivo che come sostantivo.

Oppure, altra cosa, l’intellettuale è parcellizzato in tante figure: un professore, un giornalista, uno scrittore, un artista, un regista, perfino un attore. Alla fin fine, per parafrasare il giovane Nanni Moretti, l'intellettuale è uno che vede gente, fa cose, prende appunti, eccetera,eccetera.

Ora, l’intellettuale, senza un vero status e un ruolo, come può influire socialmente? Diciamo oggi (lasciando da parte le questioni storiche)?

Trovando una collocazione. Possibilmente nei punti strategici sotto l’aspetto mediatico. Si pensi alla figura, molto in voga, dell’opinionista.

Fermo restando che sarà sempre difficile che le idee dell’intellettuale si trasformino in decisioni politiche, dal momento che i tempi della cultura (lunghi) e della politica (brevi), non collimano se non come mode politico-culturali che lasciano il tempo che trovano. Il che spiega, sia detto per inciso, la trasformazione dell’opinionista in influencer (ma questa è un’altra storia).

Però tempistiche a parte (tra cultura e politica), le decisioni politiche, come ogni decisione umana, producono conseguenze.

Pertanto, a filo di logica, per un intellettuale, produrre conseguenze, soprattutto nell’ immediatezza, è cosa molto difficile, se non impossibile.

A questo punto, si penserà – entrando finalmente nel merito del nostro articolo – dinanzi all’invasione russa dell’Ucraina un intellettuale cosa doveva fare? Proprio perché impotente doveva e deve tacere. Astenersi, non perché mancassero e manchino gli strumenti per capire, ma più semplicemente perché la politica è una cosa la cultura un’altra. Soprattutto la tempistica, come detto.

Però esiste una controindicazione: una volta che si è scelta di dire comunque la propria – cioè si discute della guerra, si soppesano le responsabilità dell’una e dell’altra parte, eccetera – parlare di neutralità intellettuale diventa inutile. Perché il solo soppesare le ragioni dell’una e dell’altra parte porterà inevitabilmente a dare ragione agli uni e torto agli altri e viceversa, o come si dice a dividere le responsabilità.

Posizione quest’ultima – secondo alcuni – addirittura salomonica.

In realtà non è proprio così. Si rifletta. Durante una guerra, che non è altro che  la prosecuzione della politica con altri mezzi, il semplice fermarsi a soppesare (qui torniamo alla diversità dei tempi tra cultura e politica), significa permettere che la sorte dei contendenti si decida sul campo. Però cosa significa questo? Che vincerà, il più forte, il più coraggioso, il più temerario, il più feroce e così via.

Pertanto, in termini di effetto di ricaduta, non si può parlare di una vera neutralità. Come abbiamo detto la vera neutralità è restare fuori e continuare a fare le proprie cose come se nulla fosse. Il che però la dice lunga sulla natura autodistruttiva del puro uso dell’intelletto. Perché la neutralità allo stato puro lascia le cose come sono, nel bene come nel male. Certo, la ricordata differenza dei tempi tra cultura e politica, può diluire fino ad annullare l’influsso sugli eventi della scelta interventista o neutralista.

Però si rifletta su un punto. Negli anni Trenta del Novecento – non ci si faccia sedurre dal pacifismo di un pugno di intellettuali di sinistra, a quel tempo totalitari quanto i loro nemici di destra – il neutralismo di larghissima parte degli intellettuali lasciò il campo libero alla politica. Sul punto esiste una letteratura sterminata. E finì come tutti sappiamo. Con una catastrofica guerra mondiale.

Se invece di battersi il petto per la pace strizzando l’occhio al comunismo, si fosse affrontato subito Hitler, forse le cose sarebbero andate diversamente. Oppure no. Il forse quando si parla di storia è sempre d’obbligo. Anche per quanto dicevamo a proposito della differenza di tempi tra cultura e politica. Sebbene la storia qualche cosina dovrebbe pure insegnare…

E purtroppo, oggi, sta accadendo la stessa cosa: chi parla di pace, di follia, eccetera, atteggiandosi a neutralista, magari in buona fede per carità, strizza l’occhio ai russi. Oggettivamente. Brutta parola, ma non ne conosciamo altre che calzino così bene.

Allora qual è il ruolo degli intellettuali, dopo l’invasione russa dell’Ucraina? Chi ritenga che Putin sia della stessa stoffa di Hitler non può non schierarsi con Kiev. Chi invece lo ritenga una specie di Dolfuss appoggi pure Mosca.

Però, ecco il punto, in tutti e due i casi lo si dica apertamente.

Carlo Gambescia

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