mercoledì 17 maggio 2023

Fazio e la “merda” culturale della destra reazionaria

 


Nel dopo Fazio  rischia di  tornare  a galla tutta la “merda” culturale di certa destra reazionaria, per dirla con Marx (che però usava questo termine a proposito dei “processi di produzione” capitalistici). Il termine è volgare. Ci scusiamo con i lettori, ma non ne abbiamo trovato uno più calzante.

Il punto è che in Italia la destra reazionaria  non ha mai avuto, già  all’indomani della Rivoluzione francese, grandi pensatori.  Robetta o quasi insomma… Il che spiega il nostro termine…

Per fare paralleli con la Francia. Non vi fu un Joseph  de Maistre italiano. Monaldo Leopardi era una macchietta.

Solo per dirne un’altra: Taparelli d’Azeglio fu una rimasticatura di Bonald. Ma l’Italia non ebbe neppure giornalisti del calibro di Maurras: grande organizzatore politico, altro che Prezzolini che vedeva nemici ovunque e litigava con tutti. Infine, ecco l’atomica culturale: mai esistiti un Taine e un Renan italiani.

Ma non è mai apparso sui radar neppure un Sorel italiano. I sindacalisti rivoluzionari italiani, molti del quali confluirono nel fascismo, come del resto i nazionalisti (soffietto del nazionalismo francese), non furono che una pallidissima versione dei confratelli francesi. Leone e Labriola (Arturo), che invece scrissero libri non banali, non possono essere definiti né di destra, né fascisti. Julius Evola, infine, è una parafrasi di Joseph Arthur de Gobineau.

Ovviamente, restano Marinetti e D’Annunzio. Forse Malaparte e una penna preziosa come Ojetti.  Su Gentile, pensatore in stile destra storica, liberale costruttivista da stato etico e  fascista per caso,  forse caratterialmente,  sospendiamo il giudizio.  Comunque sia,  in due secoli, le figure ricordate sono proprio pochino.

Anche perché il dopoguerra italiano vede a destra il deserto. Con un’unica oasi: Longanesi. Che però non ha avuto eredi. Resterebbe Del Noce (Augusto), che in realtà, più che demaistriano, per sua stessa ammissione (in polemica amichevole con Bobbio), si autodefinì rosminiano: dicesi anche cattolico-liberale e difensore dell’uguaglianza cristiana. Del resto Del Noce, primo della classe – come asseriva Giano Accame, che giustamente la maggior parte delle “intelligenze scomode” le aveva scovate all’estero – tubò con tutti, anche con gli ultimi della classe (i neofascisti), ma non sposò nessuno.

Oggi la cultura di destra, quella del testimone di pietra fascista, non avendo nulla da dire, se non ovvietà tipo “dio, patria e famiglia”, se la prende con l’egemonia della sinistra. Di cui Fazio sarebbe l’ultima incarnazione salottiera. Per la serie la volpe e l’uva.

Fazio, può anche non piacere, ma è un grande professionista. Il che significa arte delle relazioni, possedere cultura senza farla pesare, non annoiare mai.

Ora, però,  la destra, questa destra controrivoluzionaria, all’uva-Rai c’è finalmente arrivata. 

Ma con alle spalle zero tituli… Fazio da chi verrà sostituito? Da Veneziani? O da Buttafuoco? Dal solipsismo mussoliniano e dai ritratti dei militi della Wehrmacht ricavati dai vecchi numeri di “Signal”?

Certo,  il solo pensiero di  Veneziani   in diretta  con Orbán e di  Buttafuoco a  quattr’occhi con Marine Le Pen, può muovere  il riso. Ma è un riso amaro.

In realtà, per dirla brutalmente, se la cultura libera si trova in mutande la colpa è anche dei liberali. Perché in Italia, dopo Einaudi e Croce, è mancata una vera cultura liberale. Il liberalismo italiano si è diviso, ancora più decisamente in una destra (che oggi appoggia il governo) e una sinistra (filosocialista), con non pochi professori (ma è vizietto anche della destra liberale) attenti alle virgole e agli accenti, ma poco alle ragioni della libertà. Alcuni fanno gli austriaci, altri i liberal, ma, tutti insieme,  se la fanno sotto. Perché "tengono" cattedra e famiglia.

Diciamo  distratti verso  la libertà a priori:  quella teorizzata da un pensatore come Hayek (pochissimo letto in Italia). Detto altrimenti: ognuno per sé e libertà per tutti. Una costituzione di massimo dieci articoli e tanta iniziativa individuale.

Purtroppo ai liberali italiani è mancato il coraggio, oltre che culturale, politico, di tipo thatcheriano. La Lady Ferro, dice la leggenda (ma fino a un certo punto), una volta, durante una riunione politica con i suoi,  sbattè  sul tavolo una copia di Legge, legislazione e libertà: “Ecco, leggete, ciò che dobbiamo fare è tutto dentro questo grande libro di Hayek”.

Dottrinarismo? Come quello di Guizot? Che poi cadde, più di centocinquant’anni fa. Forse. Però è meglio cadere sulle buone battaglie, che seguire la corrente. Si chiama anche liberalismo.

La parabola verso sinistra di una rivista liberale come “Il Mondo” e le solitarie battaglie dei radicali  sono i due volti di una crisi che ha lasciato spazio a un liberalismo politico destrorso, per una metà democristianizzato, e per l’altra confindustrializzato (ma neppure tanto).

È ovvio che in questo deserto per la sinistra sia stato facile avere partita vinta. E oggi che è in ritirata, torna a galla, eccetera, eccetera.

Carlo Gambescia

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