Dell’effettiva dinamica si sa poco. Però i droni (ucraini?) sul Cremlino, a prescindere dalla riuscita (eliminare Putin?), hanno un enorme valore simbolico.
Quale? Il blitz, se ucraino, prova che la Russia è una tigre di carta: agita il fantasma della guerra non convenzionale, perché non è capace di vincere quella convenzionale.
Una guerra non convenzionale, che in realtà non vuole nessuno, perché costituisce il massimo dell’impoliticità (né vincitore, né vinti). Perciò invece di evocare, ogni cinque minuti, l’Armageddon atomica (il mantra di pacifisti e pontieri, anche nel senso dei ponti vacanzieri), si dovrebbe intensificare la guerra convenzionale.
Anche perché l’Ucraina dà prova di battersi bene, armata dall’Occidente nonostante tutto.
Nonostante che cosa? Una pubblica opinione pacifista attenta a limitare gli “aiuti” e seminare panico e disfattismo: gente per alcuni al soldo di Mosca.
Una pubblica opinione con la quale i russi non devono fare i conti. Le dittature non hanno bisogno di comandare per essere obbedite. Per contro in Occidente nessuno vuole comandare né obbedire. Nonostante ciò, l’Occidente ha provato di essere più forte della Russia, sia sul piano politico che militare. Ecco il valore simbolico dei droni sul Cremilino. L’Occidente deve credervi però. Ma non è tutto.
Oggi Panebianco, sul “Corriere”, scrive di una “guerra costituente”, nel senso di una posta in gioco, che va al di là dell’Ucraina, perché rimanda a una nuova costituzione del potere mondiale, nel senso di una sua redistribuzione, che, in caso di vittoria in Ucraina, insomma del respingimento dei russi, andrebbe a favore dell’Occidente euro-americano rispetto all’Oriente russo-cinese.
Siamo d’accordo con questa tesi. Il punto è che tale risultato può essere raggiunto solo attraverso un intenso sforzo militare. Che per svilupparsi ha necessità “anche” di una percezione diversa del soldato ucraino. Probabilmente esageriamo – eccesso di romanticismo – ma ci piace vedere nei combattenti ucraini gli ultimi guerrieri dell’Occidente.
Che cosa vogliamo dire? Che accanto al fatto militare si pone il fatto culturale.
Si dia un’occhiata ai giornali di oggi: vivono l’attacco al Cremlino come una disgrazia. Ci si interroga sulla responsabilità ucraina, come si fosse in una aula giudiziaria. Con piglio avvocatesco, da quattro soldi, l’Ucraina aggredita – dimenticando tra l’altro che furono per primi i russi a tentare di eliminare Zelensky – viene dipinta, o quasi, come una nazione di guerrafondai, o comunque di gente poco civile che porta solo guai all’Occidente.
In realtà, questa è guerra. E si può vincere solo schierando un forza militare superiore a quella del nemico. Non solo però: occorre, come detto, una percezione culturale diversa.
Dicevamo degli ucraini, come ultimi soldati dell’Occidente, aggiungiamo veri soldati che combattono e muoiono sul campo. In una guerra, cosa che la pubblica opinione occidentale non vuole capire, che è ideologica: tra sistemi di idee, che, per ricaduta, sono sistemi di vita.
Ecco, ripetiamo, il fatto culturale: gli ucraini difendono il nostro sistema di vita. Un mondo, come sperano, che un giorno sia anche il loro.
Sotto questo aspetto sono gli ultimi soldati dell’Occidente, perché i penultimi hanno battuto Hitler.
Carlo Gambescia
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