martedì 9 maggio 2023

Fratelli d’Italia e i duri e puri

 


Per ogni neofascista duro e puro il governo Meloni tradisce i “grandi ideali”. Il ragionamento è il seguente: “Fratelli d’Italia parla, parla, ma poi si comporta come il Partito democratico e il Movimento Cinque stelle”.

Il neofascista tipo, vorrebbe il blocco navale, i campi di concentramento per migranti; l’uscita dall’Europa e dalla Nato, l’alleanza con Putin, mettere in prigione pacifisti, LGBT, eccetera, eccetera; la sostituzione del parlamento con una nuova camera corporativa pronta a obbedire a un esecutivo dittatoriale; la nazionalizzazione del sistema economico e dei servizi pubblici; infine l’autarchia, economica ed ecologica, mitigata da qualche scambio economico con Russia e Cina ed eventuali fratellini minori. E ovviamente, ogni 28 ottobre, la celebrazione del Ventennio fascista, età di progresso e di prosperità.

Non è un programma realizzabile, se non con l’istituzione di un partito unico, l’imprigionamento o l’esilio di tutti gli avversari politici, e l’introduzione di controlli polizieschi sull’intera popolazione.

Esageriamo? Si faccia un giro in rete, non ci si esprime così nettamente ( a parole ovviamente), ma la sensibilità culturale e questa. Una cosa raccapricciante.

E Fratelli d’Italia che fa? Ovviamente, non può sostenere pubblicamente certe idee eversive della civiltà liberal-democratica. E poiché vuole mantenersi al potere, media con l’Europa, media con la Chiesa, media con Biden, eccetera, eccetera. Un neofascista duro e puro direbbe che “democristianeggia”.

Però le pressioni culturali sono forti. L’uscita del ministro Lollobrigida sulla “sostituzione etnica”, i proclami filofascisti di La Russa, il complottismo di Rossi, eccetera, eccetera, indicano che la linea di confine culturale tra neofascismo e Fratelli d’Italia è tenue. Si pensi a una rete piena di buchi, attraverso la quale passa di tutto.

Naturalmente, dal momento che conviene, Fratelli d’Italia parla di folclore. Insomma, minimizza (“quattro nostalgici”), ironizza (“non siamo i nazisti dell’Illinois”), storicizza un tanto al chilo (“gli italiani non vogliono sentir parlare di fascismo e antifascismo”). Tutto il repertorio “normalizzante”, per spingere a guardare il dito invece della Luna. Insomma, per mettere tra parentesi il Ventennio, salvo poi magnificarne ad arte le presunte conquiste sociali.

Ovviamente, come detto, la tesi dei duri e puri è che la Meloni ha tradito i “grandi ideali”. Diciamo pure che a chiunque la pensi in modo estremista, basta poco per parlare di tradimento. Si tratta della logica del “tipo sociale” setta.

Però esiste una questione, di solito sollevata da coloro che ritengono che con il tempo Fratelli d’Italia possa trasformarsi in partito conservatore e democratico. La tesi buonista è la seguente: “Che bisogna avere pazienza, farli governare, perché solo così potranno trasformarsi in una forza democratica”.

Detto altrimenti: si ritiene che siano le abitudini acquisite a “fare l’uomo”. Il che è abbastanza vero. Però se non si è culturalmente liberal-democratici, se non si conoscono i fondamentali – si pensi, nella migliore delle ipotesi, ai silenzi di Fratelli d’Italia sulla Resistenza – resta molto difficile cambiare pelle.

Al massimo, come purtroppo è andata per Alleanza Nazionale, si accetta un’ integrazione “nel sistema” passiva, obtorto collo, non rinunciando però ai bonus del sottogoverno. La carne, come si dice, è sempre debole.

Purtroppo, oltre al rischio di regressione, non vediamo altre soluzioni. Insomma delle due l’una: o regressione verso il vivacchiare al governo, benefit inclusi, che può durare anche cinque anni, a spese dell’economia e della società italiane, o regressione verso il neofascismo, che però potrebbe provocare disordini, isolamento internazionale, se non addirittura un inizio di guerra civile.

Al limite, come una specie di miscela chimico-politica tra le due soluzioni, Fratelli d’Italia, nel tentativo di risucchiare i neofascisti, come si fa con i figli “vivaci” ai quali si vuole comunque bene, potrebbe cooptarli, alzando i toni con la sinistra, in base all’evoluzione degli eventi, è chissà poi tentare il colpo grosso. Lo squadrista prêt-à-porter, da quelle parti, fa sempre comodo. Una specie di riedizione dell’almirantiano neofascismo in manganello e doppio petto.

Una cosa è sicura: nessuno si faccia illusioni, fascisti erano e fascisti sono rimasti.

La colpa di questa situazione è degli imbecilli che li hanno votati. E anche della sinistra demagogica che ha fatto del suo peggio al governo come all’opposizione.

Purtroppo, all’Italia manca un partito liberale. Non si confonda con il liberalismo, il ribellismo anarchico-conservatore degli italiani, pronto però a venire a patti, in cambio di qualche favore, con i padroni del momento, perché tutti hanno una famiglia da mantenere, eccetera, eccetera.

Certo, si dirà che non esiste un liberalismo, ma più liberalismi, eccetera, eccetera, guai perciò a mitizzare, magari in chiave dottrinaria.

Può darsi. Però vogliamo proporre un test rapido, partendo da un micro-evento: Roma 2023. Un sindaco di sinistra vuole chiudere l’intera città, quasi dal raccordo anulare, alle auto che non sono in regola con le norme anti-inquinamento. Ha ragione? Ha torto?

Non entriamo nel  merito. Del resto il concetto di bene comune, poi addirittura collegato alle questioni ambientali, ha assunto caratteri astrologici. Come gli oroscopi individuali.

Il punto è un altro. Chi protesta non evoca il diritto di proprietà (“di un mio bene decido io quando rottamarlo”), ma implora aiuti economici per farsi un automobile nuova. Insomma, vuole i trenta denari.  E Fratelli d'Italia sottoscrive.  Negli Stati Uniti una situazione del genere sarebbe inconcepibile.

Ecco, gli Stati Uniti sono un paese liberale, l’Italia no.

Carlo Gambescia

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