sabato 25 ottobre 2014

Riflessioni
La città giusta
di Giuliano Borghi


Piero della Francesca – La città ideale -  Galleria Nazionale delle Marche Urbino


La Città giusta è la conseguenza diretta della volontà e dell’azione dell’uomo giusto.
L’uomo non può fare che con ciò che ha, ma con ciò che ha può scegliere come vuole e delle scelte pratiche che compie, oppure non compie, è comunque il solo responsabile.
Il nemico è entro l’uomo. Al di fuori dell’uomo “ciò che è” è indifferente ai desideri e alle manchevolezze umane, sulle quali aleggia beffardo il riso degli dei.
Per questo, occorre impegnarsi, ancor prima di pensare a ri-formare lo Stato, ad innescare una preliminare renovatio antropologica, se si vuole evitare il rischio, trascurandola, di versare il nuovo vino nei vecchi otri del passato.

 - La Politica è un’attività autonoma, che ha solo in se stessa e non fuori di sé, la giustificazione che la legittima: garantire la concordia interna dei cittadini e la sicurezza esterna dello Stato. Non si può invocare, pertanto, una politica morale, fondata su un principio eteronomo, non politico. Si può pretendere, però, una indiscutibile morale della politica, che è appunto il bene dei Cittadini e della Città. La Politica, ha, così, una “morale” e l’uomo di Stato “morale” è colui che sa adempiere nel migliore dei modi ai doveri che la carica politica gli impone.
E’ quanto insegna il realismo politico di Niccolò Machiavelli, che “morale”, cioè, è l’uomo politico che con saggia autorità sa promuovere la grandezza della Città della quale ha assunto il governo. E’ nella sua capacità operativa di evitare scelte sbagliate e di essere all’altezza del compito affidatogli che dà “prova morale” del suo agire politico. Governare, infatti, significa riuscire ad essere efficaci, così che è l’inefficacia ad essere “immorale”.
Gli uomini hanno accettato, e continuano ad accettare, di vivere politicamente insieme per vivere meglio.
Alla Politica, dunque, è affidato l’incarico di individuare le forme migliori e gli attori più capaci a realizzare le condizioni concrete per una vita felice in terra, questa costituendo la ragione necessaria del vivere insieme.

 - Per godere di questa, gli uomini, all’aurora della Modernità, hanno pattuito volontariamente di obbedire, in terra, ad altri uomini, nella convinzione certa di avere in restituzione dell’obbedienza prestata, protezione e prosperità. E’entro questo preciso patto che hanno fatto rinuncia ai loro diritti naturali di resistenza e di vendetta. Tutte le pagine di Thomas Hobbes sono una chiara e vigorosa testimonianza che il “contratto sociale” implica obbligatoriamente come meta della giusta azione di governo la salus populi, cioè, la protezione e prosperità dei cittadini. E ricordano anche che se gli uomini continuano a vivere politicamente insieme, è perché trovano un interesse, un bene, che si presenta loro come la ragion d’essere della collettività e della loro vita in comune. Al punto tale che se non dovessero più scorgere bene, oppure interesse, alcuno nel vivere insieme, quello che ne conseguirebbe sarebbe l’impossibilità stessa dell’unità politica. Alla Politica, pertanto, i cittadini hanno diritto di chiedere volontà, forza, capacità per decisioni che perseguano e realizzino il “bene comune”, registrato quanto meno su quella speciale “amicizia utilitaristica”, indicata da Aristotele, seppure come ultima, tra le tre autentiche forme di filia capaci di mettere comunque in forma una società, che si giustifica sull “interesse di tutti”.

 - Fine dello Stato è la libertà, ma nel senso completo che la parola assume, quando con essa si esprima insieme la meta diretta del benessere materiale e non solo di quello spirituale. E’ il monito ripetuto nelle pagine di Baruch Spinoza, che sostiene fermamente che non può esserci vera libertà politica per l’uomo, se a questa non si accompagni l’affrancamento dalle immediate necessità economiche. Della libertà, infatti, il criterio discriminante è la sicurezza materiale e morale. Non può esserci, dunque, vera libertà per il cittadino, se esso non è in grado di godere di una essenziale autonomia economica. Questa stringenza, a dire il vero, era già nota fin nell’Atene di Pericle e a questa il legislatore greco aveva dato risposta con l’introduzione della mistoforia, cioè con l’elargizione di uno speciale reddito di cittadinanza, che aveva lo scopo di consentire a tutti i cittadini ateniesi di esercitare senza preoccupazioni i diritti fissati dalla costituzione della Polis. Il calendario politico, in effetti, era diventato oneroso e aveva messo in non lieve difficoltà i cittadini meno abbienti, che si trovavano combattuti tra il dovere di partecipare alle sempre più numerose assemblee e il timore di trascurare, così facendo, le loro necessità materiali. Balza evidente la misura politica, per niente assistenziale, della mistoforia, in una Polis che faceva della partecipazione diretta alla vita pubblica il registro eminente dell’essere cittadini, cioè, uomini liberi, al punto che colui che non partecipava non era considerato un cittadino inutile, bensì un non- uomo.

 -  Sovrano è colui che decide. Tutta la magistrale opera di Carl Schmitt è la conferma di questo.
Il cittadino, allora, è davvero sovrano, titolare della sovranità che le vicende moderne gli hanno conferito in proprio, solamente quando può partecipare direttamente alle scelte fondamentali della Città alla quale appartiene e decidere. Se al suo posto sono altri a decidere, magari istituzioni bancarie, compagnie assicurative, C.d.A di giornali a queste fortemente intrecciate, lobby economiche-politiche, consorterie finanziarie transnazionali poco palesi, è evidente che dire che nella Modernità sovrano è il popolo è un artifizio retorico e mistificante. Il cittadino, il popolo, unico titolare della piena sovranità, è costretto a godere, invece di un mezzo titolo di sovranità e di cittadinanza. In altre parole ad essere libero a metà. E ancora meno, se non gli dovesse essere restituita anche la sottrattagli titolarità della moneta, che gli spetta per definizione e per diritto assieme a quella politica, economica e giuridica.
Come si può, infatti, chiamare libero un popolo, quando non può disporre della  proprietà della propria  moneta?
E quando questa, invece, persiste ad essere in possesso di istituzioni bancarie private, che badano ai loro profitti privati e mai all’interesse comune dei cittadini ?

- Il bene della Città è uno. Di conseguenza, la proprietà e il possesso dei beni della Città è di pertinenza esclusiva dei Cittadini, che ne potranno concedere il solo uso, sempre revocabile, a quelle istituzioni politiche, economiche e giuridiche che saranno ritenute di volta in volta all’altezza che una tale concessione richiede e impone.

- La grande questione di chi debba essere sovrano in “democrazia”, se il popolo o il denaro, deve avere risposta immediata con una teoria qualitativa della moneta, in opposizione alle “logiche” imposte dalla finanziarizzazione dell’economia e in deciso contrasto con la preminenza del sistema bancario. Allora…

***

 Per ottenere questo è necessaria una nuova, più avanzata, definizione della Sovranità:  Titolari della Sovranità sono i Cittadini e la loro sovranità è personale e patrimoniale,  cioè

1) I Cittadini hanno la proprietà dei beni ora dello Stato, 2) godono in comune del reddito del capitale dello Stato come loro diritto soggettivo, 3) sono i proprietari della moneta.

a)  Il possesso e l’uso, cioè l’esercizio della titolarità, è affidato, con diritto di revoca, dai Cittadini allo Stato in quanto più alta funzione politica, perché indirizzata per statuto al bene comune.
Il potere di produrre denaro, sia esso legale o creditizio, deve essere riservato allo Stato, al quale compete di metterlo in circolazione a seconda dei bisogni della Città. Per questo, non ha necessità di finanziare la propria spesa pubblica ricorrendo a prestiti con tassi di interesse stabiliti dai mercati privati o alle tasse. La funzione delle tasse, infatti, non è quella di finanziare la spesa pubblica, ma quella di termometro della salute economica e di intervento strumentale efficace ad evitare squilibri sociali ed eccessi inflativi acuti.
b) Lo Stato ha tre possibili modi per sopperire alle sue necessità finanziarie:
- Controllare i servizi pubblici
- Controllare la moneta
- Controllare le finanze
 La circolazione della moneta deve riflettere esclusivamente la sua capacità di produrre ricchezza, le sue possibilità di sviluppo e di espansione e la necessità di produrre occupazione. Finalità è la determinazione di una politica economica sana, sottratta ai vincoli del denaro-debito e dell’usura. Le banche, oltre alla custodia attenta del risparmio privato, possono essere dispensatrici del credito sociale. Il denaro, però, è un semplice strumento di mediazione e quindi non può essere ammissibile che un mero strumento di transazione come la banca possa perseguire finalità di accumulazione
E’ abolito il “diritto di signoraggio” e viene introdotta la moneta a scadenza, non cumulabile.
c)  Il finanziamento delle attività economiche di interesse della Città è riservato allo Stato e privato di un interesse da pagare per il prestito elargito. Il denaro non può produrre denaro
Le banche assolvono una funzione economica e sociale e per questo hanno diritto ad un equo compenso,  ma in quadro generale dove è lo Stato, in quanto è l’istituzione mediante la quale si attua  lo esercizio della titolarità dei Cittadini, ad emettere moneta legale e ad essere il dispensatore del credito, tramite il sistema bancario.
Il valore del denaro va fatto dipendere essenzialmente dalla destinazione produttiva per la quale questo denaro viene immesso nell’economia, piuttosto che dalla relativa abbondanza o scarsità dello stesso rispetto all’insieme di beni e di servizi che quel denaro, o moneta, ha lo scopo di mobilitare in ogni transazione e nella sua qualità di “intermediario degli scambi”. In altre parole, è la destinazione qualitativa l’elemento principale che dà origine al contingente monetario che circola in un dato momento nell’economia di un dato Paese. Il valore del denaro dipende fondamentalmente dalla destinazione per la quale tale denaro è stato immesso nella corrente economica e non per la sua quantità relativa. Di conseguenza, l’elemento primario per la formazione dei prezzi deve essere la destinazione che viene data ad ogni “immissione monetaria” .
d)  La moneta non va considerata solo come “intermediario degli scambi”, e come “denominatore comune dei valori”, ma soprattutto come strumento atto a mobilitare i fattori produttivi.
 In relazione a una politica monetaria qualitativa si possono prevedere, pertanto, tre forme di credito:
 Il credito produttivo, diretto alla mobilitazione degli eventuali fattori inerti disponibili, vedi, tra altri possibili, la mano d’opera, per un adeguato utilizzo di essi. Il credito deve essere dispensato al tasso di interesse minimo, senza finalità di lucro.
 Il credito qualitativo, destinato alla produzione, deve essere orientato al raggiungimento della piena occupazione dei fattori produttivi, in primo luogo del fattore umano.
Il credito qualitativo, destinato al consumo, che ha come presupposto fondamentale il risparmio e  beneficiario il singolo cittadino e non la comunità, deve avere quel tasso di interesse risultante dal punto di equilibrio tra offerta di risparmio e domanda di risparmio, con finalità di consumo.

Giuliano Borghi

Giuliano Borghi, docente di filosofia politica nelle università di Roma e Teramo. Ha pubblicato studi su Evola, Platone, Nietzsche, il pensiero tragico e la filosofia della crisi.  Si occupa in particolare dei rapporti tra pensiero politico ed economico dal punto di vista dell'antropologia filosofica.


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