L'opposizione dell'intellettuale meridionalista alla costruzione della "strada dritta"
Gaetano Salvemini
non amava andare in autostrada…
Ieri
abbiamo scritto dell’Italia antimoderna.
Di sicuro, molti lettori saranno rimasti sorpresi dell’opposizione di
democristiani (non tutti) e comunisti alla costruzione dell’Autostrada del Sole
(cui si accenna anche nella fiction, abbastanza interessante, andata in onda
ieri sera).
Su
questi problemi però, rinviamo al libro
in argomento di Menduni (il Mulino). In realtà, quel che tuttora resta sorprendente è
il rifiuto di un grande intellettuale,
democratico, laico e riformista come Gaetano Salvemini. Ecco ciò che scrisse in proposito
nel 1954:
«Ogni persona di buon senso sa che il traffico in Italia settentrionale è assai più intenso che nell’Italia meridionale, è perciò naturale che si costruiscano o si allarghino e si rettifichino più strade lì: A che cosa servirebbero al Sud autostrade, su cui non camminassero che rari automezzi? I meridionali dovrebbero non pretendere a casa loro la costruzione di autostrade inutili, ma domandare che le autostrade settentrionali sieno costruite non dal Governo centrale a spese di tutti cioè anche dei meridionali, ma a priorie spese dalle provincie o consorzi di provincie settentrionali che ne sentono il bisogno».
G.
Salvemini, Autostrade e strade, in
Opere, IV, vol. II, Movimento socialista
e questione meridionale, a cura di Gaetano Arfé, Feltrinelli, Milano 1973, p.
654.
Salvemini - dispiace dirlo - ragiona
come un gretto ragioniere leghista,
rovesciando però il contrasto politico (Sud contro Nord). Inoltre, non scorge le potenzialità di
sviluppo insite nella modernizzazione
delle rete stradale. Insomma, il suo discorso sembra provare l'esistenza di sacche di arcaismo culturale anche all'interno di certa sinistra democratica, dai natali
politicamente nobili ma fin troppo sospettosa dell’idea di
progresso. All'epoca si scrisse, e in modo offensivo, ignorandone la lucidità, di un'opposizione senile da parte di Salvemini. Nulla di più falso.
Certo, si parla di vicende intellettuali di sessant’anni fa. Era l'Italia, per così dire, del piede di casa, con gli occhi rivolti al passato e ignara dei benefici di un'economia aperta. E oggi?
La sinistra è (finalmente) cresciuta?
Oppure no?
Carlo Gambescia
Capisco l'intento del post, i parallelismi per tornare a disputare sul tasso di modernismo/antimodernismo italiano non mancano: basti pensare alla Tav, al MOSE o al ponte sullo stretto, ma ormai dopo anni trascorsi a ricercare inesistenti grandi centri ne abbiamo uno giovane giovane e che più grande non si può, il Renzuscone, che, come Picone, risolverà ogni situazione. Saluti
RispondiElimina;-)
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