Riflessioni
C'era una volta la "piazza" ( e pure il Palazzo d'Inverno...)
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Folla criminale. Così, senza mezzi termini,
si esprimevano tra Otto e Novecento scienziati come Lombroso e psicologi come
Le Bon. La “piazza”, ai loro occhi, richiamava subito l’idea di sommossa se non
di rivoluzione. La folla, insomma, era per principio “delinquente”, come
recitava il titolo di un celebre libro di Scipio Sighele, scrittore
nazionalista e studioso di sociologia, all’epoca piuttosto noto.
E oggi? Le folle sono ben accette. Le piazze si riempiono di tranquilli
pensionati con i bandieroni della CGIL. Oppure di giovani studenti che
protestano solo perché desiderano fare carriera… Vogliono studiare, così
dicono, per “realizzarsi”.
Quindi, per così dire, di acqua sotto i ponti ne è passata tanta. All’inizio
del Secolo Ventesimo, la borghesia schierava la regia cavalleria, cento anni
dopo, tutto finisce, soprattutto se si viene a Roma, con un’allegra gita ai
Castelli.
Il problema è che nel frattempo è venuta a mancare l’ idea di rivoluzione. Il
“Palazzo d’Inverno” a poco a poco è diventato un gigantesco centro commerciale.
Dove uno, appena entra, vuole comprare e consumare. Perché, si chiedono le
folle di oggi, strangolare la gallina dalle uova d’oro? Tradotto: il
capitalismo che ci offre tutto questo ben di Dio?
Pertanto la questione di fondo non è più quella di levare di mano la torta al
ricco, ma di ridistribuirla meglio a tutti. Quindi niente più rivoluzione, niente
più regia cavalleria.
E in questo senso le piazze talvolta fanno tristezza. Perché la rivoluzione,
era anche sinonimo di festa, di cambiamento improvviso e radicale, dove tutto
poteva essere permesso. Oggi invece, le piazze si muovono a comando. Organizzatissime,
fischietti e bandiere. E dopo il discorso del leader, tutti trattoria.
Ovviamente esistono delle eccezioni, ad esempio le folle no global, sparute per
la verità. Che tuttavia in occasione dei vertici internazionali, rianimano le
piazze. Ma anche lì, ormai ci si muove lungo un cammino sociologico scontato:
si “gioca” alla rivoluzione per la gioia dei media mondiali. E poi tutti, se
non in trattoria, al pub…
Ma se la situazione è questa hanno ancora un senso le grandi manifestazioni di
piazza? Mah… Difficile rispondere in modo netto.
In Italia, nell’ultimo quindicennio, con il berlusconismo e l’
antiberlusconismo di massa o quasi, la “piazza” sembra aver riscoperto il
fascino della rivendicazione politica. Ma anche della festa, dell’allegria,
degli slogan pepatissimi, eccetera… In fondo, piaccia o meno, a Berlusconi si
deve anche il risveglio popolare e popolano, oggi forse più evidente a destra
che a sinistra…
Alcuni anni fa, un politologo notò quasi con fastidio, che il Cavaliere aveva
riportato la destra in piazza. Non una destra golpista o fascistoide, ma una
destra po-po-la-re.
Pertanto, anche se l’idea di rivoluzione è morta, la politica, nelle piazze
italiane sembra ancora essere viva, e in chiave bipartisan. Diverso invece è il
discorso per le manifestazioni sindacali. Che, ripetiamo, spesso, sembrano
organizzate a comando.
Perciò anche il sindacato, da sinistra a destra ( pensiamo all’UGL), avrebbe
bisogno di una overdose di politica. Non nel senso di andare contro o a favore
di Berlusconi, ma di proporsi al Paese in chiave di grandi scelte politiche
nazionali. E non solo di settore o di categoria. Ma non vorremmo qui farla
troppo lunga, scivolando nel sindacalese.
Per rianimare le piazze sindacali serve quindi la grande politica economica.
Quella torta cui accennavamo, non va strappata di mano a nessuno, ma va
ridiscussa, se ci si passa l’arrischiata metafora “culinaria”, nei suoi
ingredienti. Non è insomma solo una questione, anche se importante, di
dimensioni, ma di qualità.
Si pensi solo alla grande questione della partecipazione dei lavoratori alla
gestione delle imprese. Idea che non collide con il capitalismo e che per certi
aspetti può democratizzarlo. E (perché no?) risvegliare anche le piazze
sindacali. Ma i nostri sindacalisti sembrano più interessati al
"Palazzo", da ultima la
Polverini della UGL, prossima candidata alla Presidenza della
Regione Lazio per il PdL. Che qualcuno ha definito, con slancio non eccelso di
originalità, "una donna dalla parte dei diritti".
Sì, i suoi. Alla carriera. Come tanti
uomini, s'intende.
Carlo Gambescia
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