Pensare “Piazza Fontana”
Il 12 dicembre di quarant’anni fa “Piazza Fontana”. Non è necessario aggiungere
altro. Di solito, basta semplicemente farne il nome, perché tutti subito
capiscano di cosa si parla, spesso assumendo un atteggiamento contrito. Per poi
liquidare quei fatti, una volta "recitato" l'atto di contrizione, o
come strage fascista, o come attentato anarchico.
Ma per quale ragione?
“Piazza Fontana” è un “pezzo”, un bel pezzo, di immaginario sociale italiano.
Prima ancora di essere un “caso giudiziario” resta un esempio sociologico di
costruzione sociale del male. Ma, attenzione, di una (ri)costruzione non
condivisa. Perché per la destra, i colpevoli continuano a provenire da
sinistra. Per la sinistra, da destra.
Di regola, la “costruzione sociale del male” - e ne è massimo esempio la
reazione dei media mondiali all’ attentato alle Torri Gemelle - serve a
rafforzare il consenso sociale intorno a un obiettivo politico. Insomma, senza
entrare nel merito delle sue finalità storiche, una "narrazione" deve
unire non dividere una società. Nel caso delle Due Torri si trattava di
ricompattare gli Stati Uniti e l’Occidente contro il “pericolo islamico”, visto
appunto, piaccia o meno, come un male politico e sociale da battere "tutti
insieme". Nel caso di “Piazza Fontana”, come accennato, la costruzione
sociale del male ha invece seguito una specie di biforcazione ideologica,
legata alle particolari condizioni storiche italiane. Pertanto invece di unire
ha diviso. Ma di quali "condizioni" parliamo?
Di quelle determinate dalla "guerra civile", iniziata negli anni
successivi alla Prima Guerra Mondiale (1918-1922). E che continua,
sostanzialmente, a dividere l’Italia in rossi e neri. Come, purtroppo, provano
le dichiarazioni di Berlusconi, proprio ieri, sulla magistratura comunista…
Pertanto che cosa significa, oggi, pensare correttamente “Piazza Fontana”? Vuol
dire ricondurla, nell’alveo di un immaginario condiviso. Né di destra né di
sinistra. Un immaginario capace di accomunare destra e sinistra. E perciò
"propedeutico" alla verità giudiziaria.
Ma si dovrebbe firmare la pace ideologica. Farla finita, e per sempre, con la
“guerra civile italiana”.
Carlo Gambescia
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