martedì 29 dicembre 2009

Sociologia della crisi iraniana


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Non siamo tuttologi, lo abbiamo ripetuto tante volte. Non possiamo perciò improvvisarci, come fanno altri, in specialisti della "questione iraniana".
Però proviamo lo stesso a dire qualcosa, sfruttando la nostra preparazione sociologica.
In primo luogo, l’Iran, sta vivendo (e pagando) il "complesso dell’accerchiamento". Ormai gli statunitensi, fedeli alleati di Israele, sono ovunque, in Turchia, Iraq, Afghanistan... E, di regola, “’l’accerchiato”, ossia il suo establishment, risponde radicalizzando le sue posizioni. E soprattutto concentrando e verticalizzando il potere che già possiede. Ci si ricompatta per fronteggiare il nemico esterno. E l’unico limite è costituito dai livelli di coesione, iniziali e successivi, dell’establishment stesso.
In secondo luogo, a pagare le conseguenze del processo di risposta "all’accerchiamento" sono sempre le opposizioni interne, in questo caso i cosiddetti riformisti iraniani. Forze, che crediamo siano condannate a cedere il passo sotto i colpi della repressione, a meno che il potere dominante non si sgretoli dall’interno.
In terzo luogo, i meccanismi istituzionali dell’Iran contemporaneo, pur fondandosi su istituzioni liberamente elette o quasi, non sono quelli di una democrazia liberale occidentale: al massimo si può parlare di una repubblica teocratica. Il che rende più facile l’opera dei repressori, che possono contare su un rigido codice religioso del comportamento politico e su corpi specializzati di repressori ideologici. Crediamo però, che nonostante l’enfatizzazione dei media occidentali sugli studenti, eccetera, i cosiddetti riformisti, non puntino a una democrazia di tipo occidentale, ma a un maggiore pragmatismo, semplificando, alla “cinese”.
In quarto luogo - ma questa è un' osservazione politica non sociologica - la crisi potrebbe ancora rientrare, salvaguardando per il momento l’indipendenza iraniana, se riformisti ed establishment trovassero un accordo "passando sulla testa" di Ahmadinejad, azzerando il suo progetto di nuclearizzazione, inviso all’Occidente, a Israele nonchè, pare, ai riformisti iraniani.
Tuttavia la radicalizzazione, profondamente legata al senso di “accerchiamento”, che spiega se non giustifica la scelta nucleare iraniana, sta andando nella direzione dello scontro frontale fra riformisti e radicali. Scontro, crediamo, destinato a caratterizzare politicamente il 2010. E che alla luce, della guerra in atto - perché di questo di si tratta - tra Occidente e l’intero mondo di fede islamica, potrebbe tradursi nell’esca per un’aggressione all’Iran, da parte di quelli che la propaganda fondamentalista definisce i “Crociati dell’Occidente”: Stati Uniti ed alleati.
Perciò Ahmadinejad, con il suo oltranzismo, che qui da noi tanto piace agli estremisti di tutte le risme, rossi e neri, rischia di trascinare verso la rovina totale un Paese ricco, laborioso e colto. E per una sola ragione: perché non ha forza sufficiente per tramutarlo in atti politici, e dunque credibilità, né, pare, l'intelligenza politica per capire la debolezza, soprattutto esterna, della sua posizione, spesso così scioccamente estremista da sfiorare l'autolesionismo. In politica internazionale - e qui resta esemplare la parabola novecentesca dell'hitlerismo - le dichiarazioni di fuoco, come quelle sul nucleare iraniano, se non accompagnate da un pari "effettività" militare in reale sviluppo, lasciano il tempo che trovano. Sotto questo aspetto Ahmadinejad, un ingegnere, sicuramente non ha mai letto Ibn Kaldun, il Machiavelli tunisino ...
In questo senso il dato politico reale, su cui dovrebbero riflettere tutti gli iraniani, riformisti e radicali, resta uno solo: che, in ogni caso, difficilmente all'Iran sarà data la possibilità di diventare un potenza dotata di armi atomiche.
Ma ripetiamo, si tratta di un oltranzismo per un verso legato alla natura (ma anche cultura) del presidente iraniano, per altro alla “forza sociologica” degli eventi (il senso di “accerchiamento” e la conseguente radicalizzazione). Di riflesso Ahmadinejad per alcuni - i suoi sostenitori - è l’uomo della provvidenza mentre per altri - in particolare gli avversari - una mina vagante.

Deciderà l’evoluzione della crisi.


Carlo Gambescia 

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