Divagazioni sociologiche sull’odio
Secondo Sant’Agostino “l’ira è un'erbaccia, l’odio un albero”. Come dire:
l’odio è un’ira "stabilizzata". Un’ira fredda: una disposizione non
temporanea ma permanente a danneggiare colui che si odia. Non è un buon
sentimento: l’ira si può sradicare come un’erbaccia, grazie alla calma di una
ragione ritrovata. L’odio meno, soprattutto quando assume l'aspetto di una
quercia secolare.
Per Freud l’odio racchiude una pulsione di
morte. E in questo senso si trasforma sempre in fonte di angoscia e sofferenza
mentale. Colui che odia, insomma, non vive bene. L'odio si nutre di pregiudizi:
dal momento che come insegna la psicologia, chi odia, come il fondamentalista
di qualsiasi colore, attribuisce preventivamente all’altro sempre intenzioni
negative. Probabilmente anche perché, per dirla con Hermann Hesse “quando
odiamo qualcuno, odiamo nella sua immagine qualcosa che sta dentro di noi".
Chi odia, e non è un gioco di parole, odiando maledice sempre se stesso.
La sociologia invece non ha mai studiato adeguatamente l’odio. Pochi studiosi
si sono occupati dell'argomento. Max Scheler, sulla scia di Nietzsche, ha
individuato nel risentimento la causa principale dell’odio sociale: un brutto
"sentire di nuovo" o "sentire sempre" che sorgerebbe da
quell' irrefrenabile volontà di possesso che pervade l’uomo moderno, affamato
di beni materiali. Se l’unico valore apprezzato è quello “economico”, allora
inevitabilmente ci si "risente" per quello che “non si possiede”. E
di riflesso si finisce per odiare “colui che possiede”.
Non per niente Julien Benda, acuto filosofo
sociale, parlò del Novecento, come del secolo fondato "sull'
organizzazione intellettuale dell’odio politico”. E, infatti, se ci si pensa
bene, il liberismo resta fondato sull’invidia, quale molla che spinge a emulare
i consumi altrui, anche a costo di privarsi di una vita interiore. Mentre il
marxismo ha trasformato l'invidia in odio di classe, e l'odio di classe in
strumento di lotta politica e di ferreo e ingiusto dominio delle coscienze.
Infine, fascismo e nazionalsocialismo si sono "limitati" a sostituire
all'odio di classe quello di nazione e razza...
Per contro il grande Pitirim Sorokin provò per primo - studiando ad esempio le
vite dei santi - che chi ama vive più a lungo. Di qui il suo straordinario
disegno teorico volto a studiare le metodologie positive per “produrre e
diffondere” tra gli uomini, l’amore al posto dell’odio... E naturalmente
liberisti, marxisti, fascisti e nazisti lo presero per pazzo.
Per tutte queste ragioni, mai rivendicheremo
alcun "diritto di odiare”: una specie di diritto alla cattiva vita.
Eventualmente può esistere il "diritto di amare". Quello sì. Come
diritto alla buona vita e non all'autolesionismo. Ma con moderazione, perché se
non santificato da una fede sincera e tollerante in Dio o negli uomini, anche
l'amore rifiutato, può trasformarsi in odio. Di qui l'importanza, per dirla con
la Arendt , che
ognuno si comporti "da amico di molti, ma fratello di nessuno” . E nella
speranza che nessuno mai ci scelga - perché può capitare - come nemici.
Probabilmente la nostra è la strada più difficile, irta di ostacoli, perché per
dirla con Bernanos, “odiarsi è facile, la grazia è dimenticare” .
E quindi pochi ne sono capaci. Ma perché non
tentare?
Carlo Gambescia
.
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