lunedì 26 maggio 2025

Trump e Putin: leader o pazienti? Quando la psicologia sbaglia bersaglio

 


L’analisi psicologica della leadership è probabilmente uno degli argomenti più complicati dal punto di vista della metapolitica. Dal momento che ci si trova davanti a un problema avvertito dai biografi. Quale? Che, nonostante lo studio di carte e documenti, il biografo ha quasi sempre enormi difficoltà nel ricostruire il profilo psicologico di un personaggio storico. Il che vale per Cesare come per Hitler, per Mussolini come per Cavour, e così via.

Si pensi, alla pur riuscita biografia mussoliniana di Renzo De Felice, acutissima per certi aspetti storico-politici, debole per quelli personali del dittatore. Cosa vuol dire che Mussolini nei tardi anni Trenta si era incupito, fino a precipitare in una specie di pessimismo cosmico? Che però non gli impedì di allearsi con Hitler? Invece Franco, addirittura tetro dalla nascita, si guardò bene dall’allearsi con Hitler.

Cosa vogliamo dire? Che il collegamento tra le presunte debolezze caratteriali di un dittatore e le sue scelte politiche reali non aiuta a capire l’essenza delle cose né sul piano biografico, né su quello dell’analisi metapolitica.

A questo proposito, riteniamo sia un errore, come ci è capitato di leggere, definire fragili, perché vittime di chissà quali paure nascoste, due leader in apparenza  - si dice -  volitivi come Trump e Putin.

In questo modo si fa cattiva psicologia e cattiva scienza politica. Dal momento che se informatissimi biografi, specializzati, spesso prendono lucciole per lanterne, figurarsi un professore generalista, anche di scienza politica.

Resta perciò buona regola attenersi ai fatti. E i fatti ci dicono che Trump e Putin sono come li  vediamo: sanno benissimo quello che vogliono. Si chieda agli ex alleati europei e agli ucraini. Infine, se proprio si vuole fare della psicologia, nei loro occhi si legge una determinazione spaventosa. Vi si scorge, quel vuoto di sentimenti (dalla compassione a tutto il resto), tipico della volontà di potenza, che quasi sempre prelude a decisioni e azioni drastiche.

Va poi ricordato un altro grossolano errore interpretativo: quello incarnato dalla fantasiosa ideologia fallica del potere, che punta, a livello di spiegazione, su una presunta invidia del pene tra leader politici, pronta a trasformarsi in fonte di angoscia e paura.

In realtà per lo scienziato metapolitico resta più importante l’interpretazione della paura politica fornita da Guglielmo Ferrero che quella elaborata dai lacaniani di sinistra, ad esempio Žižek.

Allo scienziato a guardia dei fatti interessa la paura in quanto tale, solida, concreta, empirica, che di regola alimenta l’ angoscioso immaginario dei dittatori, e li spinge a circondarsi di guardie armate e di polizia segreta, prontissima a eliminare fisicamente possibili concorrenti.

Gli oppositori sono a loro volta contagiati dalla paura, secondo un processo che dal despota, scende verso il basso per poi risalire, dal popolo, verso l’alto, Un saliscendi che finisce per impregnare l’ intero ambiente politico. Di qui l’apparente caos calmo, di rimescolamento forte delle carte politiche, ma anche pacato, perchè si smonta programmaticamente,  pezzo dopo pezzo, la vecchia macchina, con ovvie ricadute magmatiche, quindi caotiche, sul terreno comunicativo. 

Ne ha scritto Ferrero, e bene. Ma si ricordi in particolare la classica analisi di Montesquieu sulla paura come principio del dispotismo.

Non vorremmo semplificare troppo. Ma, per capirsi, secondo la versione fallico-lacaniana, Trump e Putin, sarebbero angosciati da una questione di “misure”. Di qui la fallicità di comportamento. Cioè, ” Ora ti faccio vedere io quanto è grosso il mio…”.

Cioè che accade? Che la tragedia metapolitica di Macbeth, di una paura politica, che si autoalimenta, contagiando tutti, sudditi, avversari nemici, si tramuta in una questione di angoscia da “pisello” (pardon). Da adolescenziale specchio dans la salle de bain.

Si dirà, che sul piano delle radici psichiche, i famosi residui profondi del comportamento sociale, studiati da Pareto, le cose potrebbe anche stare così.

Certo, ma molto, molto, molto alla lontana. Sono cose buone per oziose discussioni accademiche o per film tipo “Terapia e pallottole” (del boss mafioso che si rivolge al terapeuta, però senza alcuna intenzione di cambiare “business”).

In realtà lo scienziato sociale, o meglio ancora lo studioso di metapolitica, deve studiare i fatti. E i fatti dicono che Trump e Putin sanno perfettamente ciò che vogliono. E sono determinati nel perseguirlo. In definitiva, non sono pazienti, piagnucolosi e bisognosi di cure, ma attori storici, reali,  sicuri di sè,  armati fino ai denti.

Concludendo, non si confonda la tattica comunicativa, da caos calmo, con la strategia politica che guarda al sodo. O peggio ancora non si giustifichi la tattica comunicativa con le pseudoteorie falliche.

Carlo Gambescia

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