Trump oggi ne tirerà fuori un’altra? Quando sarà eletto il Papa? A breve come dicono? E Netanyahu si mangerà, come afferma, la striscia di Gaza? E la guerra tra Ucraina e Russia, finirà? E se sì, quando?
Come si può intuire il quadro politico internazionale da anni non era fluido come oggi, diciamo pure magmatico e pieno di incertezze. Si potrebbe fare un’interessante parallelo storico con gli anni Venti e Trenta del Novecento. E di quel periodo ricordiamo la moderna rinascita dei balli di gruppo e i fasti del cinema e della radio. Con Hitler che incombeva. L’asserzione può sembrare stravagante, ma andando avanti nella lettura si capirà il suo perché.
Come agisce questa fluidità sulla psiche e soprattutto sui comportamenti della gente comune?
La ricerca sociologica insegna che si reagisce alla fluidità degli eventi, soprattutto quando eccessiva, tornando al privato. Si tiene fuori il mondo e ci si concentra su ciò che possiamo fare per noi stessi. Si chiama anche ripiegamento dell’Io.
Per comprendere quel che accade oggi, si osservi da che parte spinge la pubblicità, che è sempre un passo avanti. E mai come come oggi batte il suo tamburo sul privato: estetica, viaggi, piaceri della tavola.
In sintesi, più “fuori” la situazione si ingarbuglia, o quantomeno sembra tale (legge di Thomas), più ci si chiude “dentro”, non nel senso (stretto) di chiudersi in casa, ma dell’allargamento, spesso a dismisura, della sfera privata rispetto alla pubblica. Per dirla alla buona: più il mondo si fa fluido, più si apprezza la buona tavola.
Andrebbe fatta un’indagine in termini di analisi della correlazione statistica tra lo sviluppo delle trasmissioni televisive di cucina e l’evoluzione delle vicende internazionali. Ne uscirebbe sicuramente fuori, almeno in Occidente, che cucinare o mangiare sono direttamente proporzionali alla crescita del caos mondiale.
Gli esseri umani – insegna la psicoterapia – hanno due fondamentali strumenti di autodifesa psichica. Due valvole di sfogo per ridurre la pressione di una macchina sociale collettiva che tende a schiacciare l’individuo: rimozione e transfert.
La rimozione è un meccanismo difensivo che allontana dalla coscienza pensieri, sentimenti o ricordi sgraditi, mentre il transfert è la proiezione di emozioni e schemi relazionali del passato, spesso verso il terapeuta.
Tradotto: la rimozione implica un pensare ad altro, nel nostro caso al cibo; il trasfert al trasferimento delle proprie e emozioni, sullo chef analista.
Ovviamente, semplifichiamo un meccanismo complesso. Però il senso è che Cannavacciuolo ci fa dimenticare Trump.
Di qui una vera e propria moda, che però non è solo moda ma risposta paraterapeutica. E comunque sia un fenomeno collettivo che volge, coinvolge, stravolge. Del quale tenere conto. Come del ruolo sociale negli striduli anni Trenta del Charleston, Swing, Mambo, Fox Trot, di Lola Lola e del Feroce Saladino. “Vivere!” canzone, portata al successo da Tito Schipa, uscì nel 1937, un anno prima dell’introduzione delle leggi razziali, e a due dal grande mattatoio mondiale, faceva così: “Ridere sempre così giocondo/Ridere delle follie del mondo/Vivere finché c’è gioventù/Perché la vita è bella/La voglio vivere sempre più”.
Dove porta tutto questo sul piano metapolitico? A ridere delle follie del mondo. Cioè allo sviluppo di un individualismo debole perché ripiegato sul privato, e che quindi si disinteressa del pubblico.
Si può ritornare all’individualismo forte che ha fatto grande la società aperta? Da Drake a Churchill? Da Ronald Reagan a Margaret Thatcher?
Difficile dire. Il problema è che l’ansia da fluidità degli eventi è un fenomeno diffuso, e perciò sottoposto a quelle leggi dell’imitazione o dell’ emulazione sociale che fanno dell’essere umano un essere sociale, nel bene come nel male. Cioè si entra nell’ambito del collettivo, che tende a imporsi per forza propria. Anche come stato di angoscia diffuso. E di qui il bisogno di rimozione. Il che spiega la banalità superiore racchiusa nell’espressione “Ballare sul Titanic”…
Concludendo, per il momento sarà difficile fare a meno dello chef televisivo, come di un individualismo debole.
Carlo Gambescia
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