I mass media non solo italiani sono in trepidazione per l’elezione del prossimo Papa. Come analisti metapolitici prevediamo che il Conclave non sarà molto lungo.
Pio XII, Segretario di Stato di Pio XI, Papa emotivo e tentennante (così dicono gli storici), fu eletto in un mondo sull’orlo della guerra, il 2 marzo del 1939, solo dopo tre scrutini. Aveva 63 anni. Anche oggi, il realismo dei tempi, molto grigi, quasi imporrebbe un papa diplomatico. E non un papa agitatore, come Francesco. Sarebbe un errore, crediamo, un Francesco II.
Fin qui la cronaca politica. Ma in realtà, come nel 1939, quanto può essere ascoltata una Chiesa Cattolica, per dirla con Stalin, priva di unità militari? Quanto conta la Chiesa nella politica internazionale, quella vera, che rimanda decisamente ai rapporti di forza?
Si dirà che la Chiesa è una forza morale. Certamente. Ma quanto può essere ascoltata da Trump, Putin, Xi e così via? Si ricordi il “flop” storico nel 1917 di Benedetto XV, quando il tentativo di fermare la guerra fu persino deriso. E si potrebbero citare i casi similari di Giovanni Paolo II, a proposito della prima Guerra del Golfo, e di Francesco sulla guerra russo-ucraina.
Inutile, crediamo, rivendicare episodi minori, parzialmente positivi, sul piano delle microguerre, nonché l’opera di organizzazioni paravaticane o di figure di moderni profeti come il professor La Pira, dichiarato Venerabile dalla Chiesa cattolica.
Il problema fondamentale è quello dei rapporti di forza. Rapporti che si basano sulla minaccia e sullo scambio. Di cosa? Di reazioni di tipo militare. E il Papa non ha l’atomica. Questo il punto. La minaccia di scomuniche, ammesso e non concesso che un papa imbevuto di pacifismo evangelico ne sia capace, non spaventa più nessuno, e da un pezzo.
Quanto allo scambio, cioè al “promettere qualcosa in cambio di”, la Chiesa non ha risorse materiali tali, eccetera, eccetera. Sono finiti i tempi del colpo di penna. Di quando, dopo le scoperte di Colombo, il Papa Alessandro VI, con la bolla Inter Caetera del 1493, divise il mondo in due aree di influenza per Spagna e Portogallo. E la prima a capirlo fu la flotta inglese. Che fece così la storia moderna.
Pertanto, al di là del clamore mediatico, l’elezione di un nuovo Papa, per i potenti del XXI secolo, nulla toglie, nulla aggiunge al quadro della politica internazionale.
Si potrebbe tranquillamente parlare dell’irrilevanza politica del Papa
Perché, al di là dei salamelecchi rituali, non prendere atto, e in modo definitivo, che non siamo più nell’XI secolo? Quando il 22 aprile del 1073 fu eletto il vulcanico Gregorio VII, il giorno dopo la morte del suo predecessore? E addirittura in modo irrituale?
Come si dice, erano altri tempi. Giusto mille anni fa.
Infine andrebbe anche fatto un discorso a proposito di coloro che credono, e sinceramente, nel potere divino o semidivino di un Papa di cambiare le cose. Per così dire di tenere a freno i potenti. Il famoso concetto di τὸ κατέχον, “ciò che trattiene”, al quale, partendo dal passo paolino di derivazione biblica sono stati dedicati dotti saggi di filosofia politica. Uno dei cavalli di battaglia del Cacciari fresco teologo televisivo.
Qui, però, e nessuno si offenda, il problema è che un analista metapolitico non può occuparsi di miracoli, né di sociologia del soprannaturale, per dirla con Don Sturzo, che, in quanto prete (e che prete…), a differenza di Cacciari, almeno era in buona fede.
Carlo Gambescia
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