venerdì 16 maggio 2025

Ci risiamo. Giorgia Meloni vuole il premio di maggioranza

 


Si riparla di legge lettorale. E Giorgia Meloni vuole introdurre il premio di maggioranza. Che non è sicuramente un segno di democrazia. E soprattutto un gesto di amicizia verso il parlamentarismo. Soprattutto per i precedenti storici. Ma la Meloni, si sa, è quella delle radici che non gelano mai. Della “Fiamma” eterna.

Infatti in Italia il premio di maggioranza fu introdotto nel 1923 dai fascisti con la legge Acerbo. Come regalino post Marcia su Roma. Seguirono le elezioni del 1924, con i fascisti armati dentro i seggi, perché insicuri, nonostante la legge prevedesse l’attribuzione dei 2/3 dei seggi della Camera dei deputati (il Senato era di nomina regia) alla lista che avesse superato il 25% dei voti. Matteotti denunciò tutto e fu trucidato.

In seguito, nell’Italia Repubblicana, furono fatti altri tentativi ma tutti andati a vuoto. Per contro, il premio di maggioranza dagli anni Novanta è previsto per le elezioni locali (comuni e regioni). Con risultati alterni sul piano della governabilità e un certo strapotere, spesso impiegato male, di sindaci e governatori.

Perché, come noto, il premio di maggioranza viene ufficialmente “venduto” all’elettore come un grande contributo alla stabilità politica. In realtà è qualcosa di profondamente antidemocratico. Anche nel caso di un quorum portato al 50 per cento + 1 (si chiama maggioranza assoluta, i famosi 51 voti su 100). Perché, ecco il punto, il premio di maggioranza attribuisce un potere assoluto alla maggioranza a danno ovviamente della minoranza.

E qui si dimentica che la distinzione classica tra un sistema liberal-democratico è tutti gli altri è racchiusa proprio nel rispetto della minoranza (e delle minoranze). Il potere, attribuito da elezioni vittoriose non può essere mai assoluto. Ecco la regola base. Anche a danno della governabilità.

Piaccia o meno, le democrazie a differenza delle dittature sono instabili. È una specie di prezzo da pagare. Contro il quale lavorano, e da sempre, i nemici della liberal-democrazia, che  equiparano volutamente la fisiologia (l’instabilità) con la patologia (il sistema parlamentare). La legge Acerbo venne difesa da Mussolini come strumento per liberare l’Italia dall’ “anarchia” del parlamentarismo. Tutti sanno come andò a finire.

Ovviamente quanto più grande è la distanza tra la percentuale di voti conseguiti e il premio di maggioranza tanto più ci si allontana dalla democrazia liberale.

Tornando alle radici che non gelano, nel progetto meloniano la soglia da raggiungere per far scattare il premio di maggioranza ( sembra pari al 55-60 per cento dei seggi a Montecitorio e Palazzo Madama), potrebbe essere, si dice, del 40, 42, 44 per cento.

E perché non la maggioranza assoluta? Così, tanto per salvare la faccia. In realtà, Giorgia Meloni sa che al momento il Centrodestra unito nei sondaggi giunge al 45 per cento, ma che non può andare oltre il 49-50 per cento. O comunque sia, non avendo, per ora, squadristi da inviare ai seggi, non vuole correre rischi. Di qui i conti della serva: il 44 per cento, non è lontano dal 50, e non è mai, mettiamo, il 26 per cento della legge Acerbo.

Come direbbe Fantozzi? Ma come è umana lei…

Carlo Gambescia

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