Per dirla fuori dai
denti: una porcheria. Parlare male della fiction dedicata a
Olivetti sarebbe fin troppo facile, quasi come sparare sulla Croce
Rossa… Tuttavia non possiamo farne a meno, e per due ragioni.
In primo luogo,
il lavoro diretto da Michele Soavi, pur nei limiti di un'
opera televisiva (come si dice) da prima serata, neppure si pone
il problema di ricostruire la figura, certamente complessa,
di un imprenditore talentuoso, ma tormentato e
ben poco solare, rispetto alla caricatura buonista,
malamente delineata dagli sceneggiatori e "montalbaneggiata" da
uno Zingaretti spaesato, per dirla con i critici.
In secondo luogo,
quel che più infastidisce è un taglio ideologico che
oscura le zone d’ombra, poco amate a sinistra e dintorni. Ne
enumeriamo solo alcune: i rapporti, sebbene discontinui, con
Bottai; l'intelligente reinvenzione del fordismo, frutto di ammirazione
per la cultura industriale americana delle "human relations";
le critiche antiriformiste dei sindacati; il gelo di socialisti e
comunisti verso un imprenditore culturalmente indocile; le
riserve cattoliche e vaticane nei riguardi di ogni sincretismo
spiritualista.
Emblematica,
l’assenza di qualsiasi accenno al federalismo olivettiano (forse, per non
favorire revanchismi leghisti…). Ridicola infine la pista americana… Adriano
Olivetti morì di trombosi, dopo aver vissuto, soprattutto intellettualmente,
alla velocità di mille all’ora. E fu, se ricordiamo bene,
il primo imprenditore italiano a fondare un partito. Altro evento
scabroso per la sinistra, su cui la fiction, ovviamente, non
indugia.
Insomma, ripetiamo,
una vera porcheria. E per giunta a spese degli abbonati.
Carlo Gambescia
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