Il trionfo
dell’ipocrisia
Questa mattina
tutti si strappano i capelli: " Oddìo, la
disoccupazione giovanile ha varcato la soglia del 40 per
cento!" ( http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/associata/2013/10/01/Disoccupazione-giovani-balza-40-1-record-storico-_9387536.html ). Imprenditori e sindacalisti
implorano incentivi pubblici per assumere giovani, i politici,
annuiscono, più compunti che mai: "L'ora è grave".
Il massimo
dell’ipocrisia... E spieghiamo perché
Da un lato, le
imprese per anni non hanno migliorato la produttività (in Europa siamo
tra gli ultimi), dall’altro i sindacati si sono trasformati in organizzazioni
di difesa dello status quo;
la politica, infine, ha assecondato ora gli uni, ora gli
altri. Morale della favola, poche assunzioni e malpagate.
Adesso però
si pretende dallo stato la creazione di nuovi
posti di lavoro. "Creare" è la parola
giusta. E dal nulla, visto il crollo del Pil. Ci spieghiamo meglio:
se ogni punto di Pil in meno rappresenta, grosso modo, duecentomila
posti di lavoro perduti, come sarà possibile creare
più occupazione ? Se non la si è creata, in tempi di
vacche grasse, come sarà possibile crearla in tempi di vacche magre?
Facendo scavare e ricoprire buche ai giovani? A spese dell'erario?
Insomma, non è
un problema ( o non solo) di maggiore qualificazione,
recupero della dispersione scolastica, eccetera, come declamano le anime
belle: se la torta produttiva si restringe, la riduzione
colpisce a cascata e per settori (anche se con percentuali di partenza diverse)
l'occupazione . Perciò il primo obiettivo resta quello di produrre di
più, non di meno. E qui ovviamente le ricette economiche sono differenti.
Salvo che su un punto, crediamo. Quale? Che non si può
distribuire (anche in termini di posti di lavoro) quel che non si è
prodotto.
È così difficile
capirlo?
Carlo Gambescia
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