Metapolitica di un'indagine giudiziaria...
E così il Presidente
Napolitano sarà ascoltato dal tribunale Palermo. Tutto bene?
Dipende.
Sulla
cosiddetta “trattativa” fra Stato e mafia sono
finora emerse due posizioni: la massimalista, arcisicura
dell'esistenza di un accordo, che vorrebbe ministri e mafiosi seduti
l’uno accanto all’altro sullo stesso banco degli imputati; la
minimalista, che, al contrario , minimizza o nega la
“trattativa”.
I due atteggiamenti
condividono un presupposto morale: che le istituzioni non
devono trattare con la mafia, dal momento che da
una parte si ergerebbe il luminoso regno della legalità, dall’altra il
tenebroso mondo dell’illegalità.
Si tratta di una
visione in bianco e nero che ignora, per restare in metafora, il grigio:
il punto in cui - come impongono le “costanti” metapolitiche
- i confini tra il bianco e nero si confondono. Il che significa che
esiste una terza possibilità interpretativa. Ci spieghiamo meglio.
Se, come tutti gli
schieramenti sostengono, c’è una guerra in corso tra Stato e mafia,
allora, per farla breve, a brigante si deve opporre brigante e mezzo. E per
inciso, la guerra, come scrisse qualcuno che ne capiva, è la
continuazione della politica con altri mezzi.
Che cosa si fa in guerra? Prima si attacca, poi ci si ritira in attesa di trovare il punto debole del nemico. Oppure si cerca di dividerlo, blandirlo, anche provando a trattare, per poi, una volta ricevuti rinforzi, colpirlo meglio, magari a tradimento. Insomma, tutto è ammesso perché lo scopo finale e vincere la guerra, e poco importa, se per ragioni tattiche, si deve perdere una battaglia.
Che cosa si fa in guerra? Prima si attacca, poi ci si ritira in attesa di trovare il punto debole del nemico. Oppure si cerca di dividerlo, blandirlo, anche provando a trattare, per poi, una volta ricevuti rinforzi, colpirlo meglio, magari a tradimento. Insomma, tutto è ammesso perché lo scopo finale e vincere la guerra, e poco importa, se per ragioni tattiche, si deve perdere una battaglia.
Si dirà che la
classe politica italiana è inadeguata e inaffidabile. E che il comando
delle "operazioni" non può essere conferito a politici non
all’altezza della situazione… Giusto. Tuttavia, come insegna la storia
d’Italia, le classi politiche passano mentre la guerra alla mafia resta.
E i mezzi “bellici” per combatterla, anche quelli tattici
come la trattativa, rimangono gli stessi, a prescindere dalla qualità o meno
dei politici al comando. Perciò, sul dovere di usare ogni mezzo
"militarmente" utile per sconfiggere la mafia, si
dovrebbe restare uniti. Insomma, mai presentarsi moralmente divisi,
davanti a un nemico che non attende altro. In questo modo, si
rischia di prolungare la guerra e di allontanare
la possibilità stessa di vincerla.
Concludendo,
dal punto di vista metapolitico, la deposizione di
Napolitano, per la carica che ricopre e le modalità che l’hanno
permessa, è un grave segno di debolezza, se non addirittura una vittoria
della mafia.
Carlo Gambescia
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