martedì 22 ottobre 2013


Napolitano testimone a Palermo?  
Metapolitica  di un'indagine giudiziaria...





E così il Presidente Napolitano  sarà ascoltato dal tribunale  Palermo.  Tutto bene?  Dipende.
Sulla cosiddetta    “trattativa”  fra Stato e mafia  sono finora  emerse due posizioni:  la massimalista, arcisicura dell'esistenza di un accordo,  che vorrebbe ministri e mafiosi seduti l’uno accanto all’altro  sullo stesso banco degli imputati;   la minimalista,  che, al contrario , minimizza o  nega  la “trattativa”.
I due atteggiamenti condividono un presupposto morale:  che le istituzioni  non devono  trattare con la mafia,  dal momento  che  da una parte si ergerebbe  il luminoso regno della legalità, dall’altra il tenebroso mondo dell’illegalità.  
Si tratta di una visione in bianco e nero che ignora, per restare in metafora, il  grigio: il punto in cui -  come impongono le  “costanti”  metapolitiche -  i confini tra il bianco e nero si confondono. Il che significa che esiste una terza possibilità interpretativa.  Ci spieghiamo meglio.
Se, come tutti gli schieramenti sostengono,  c’è una guerra in corso tra Stato e mafia,  allora, per farla breve, a brigante si deve opporre brigante e mezzo. E per inciso,   la  guerra, come scrisse qualcuno che ne capiva, è la continuazione della politica con altri mezzi. 
Che cosa si fa in  guerra? Prima si attacca, poi ci si ritira in attesa di trovare il punto debole del nemico. Oppure si cerca di dividerlo, blandirlo, anche provando a trattare,  per poi, una volta  ricevuti rinforzi, colpirlo meglio,  magari a tradimento. Insomma, tutto è ammesso perché  lo scopo finale e  vincere la guerra, e poco importa, se per ragioni tattiche, si deve perdere una battaglia.
Si dirà che la classe politica italiana è inadeguata e inaffidabile.  E che il comando delle "operazioni" non può essere conferito  a politici non all’altezza della situazione… Giusto. Tuttavia, come insegna la storia d’Italia, le classi politiche passano mentre  la guerra alla mafia resta.  E i mezzi “bellici”  per combatterla,  anche quelli tattici come la trattativa, rimangono gli stessi, a prescindere dalla qualità o meno dei politici al comando. Perciò, sul dovere di usare ogni  mezzo  "militarmente" utile  per sconfiggere la mafia, si dovrebbe restare uniti. Insomma, mai  presentarsi moralmente divisi,  davanti a un nemico che non attende altro. In questo modo,  si  rischia di  prolungare la guerra e  di   allontanare  la possibilità  stessa di vincerla.

Concludendo,  dal punto di vista metapolitico,  la  deposizione di Napolitano,   per la carica che ricopre e le modalità che l’hanno permessa,  è un grave segno di debolezza, se non addirittura una vittoria della mafia.

Carlo Gambescia

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